Tutti assolti ("il fatto non sussiste") nel processo per corruzione e (per un imputato solo) violenza sessuale nato sulle intercettazioni della procura nell’ambito delle indagini sul buco milionario al Cnr. Indagini poi diventate processo: la sentenza dà credito alla difesa. La pm Flavia Alemi aveva chiesto 14 anni in totale di reclusione per il dottor Alfredo Sbrana, (difeso dall’avvocato Giulia Padovani e dal collega Salvo Grillo), già direttore del reparto di psichiatria dell’Asl a Pisa e della Rems di Volterra: 7 ritenendolo responsabile di violenza sessuale e 7 per corruzione. La pubblica accusa aveva chiesto poi 5 anni per Ledo Gori (difeso dall’avvocato Enrico Marzaduri), uomo di riferimento dell’allora Pd e capo di gabinetto dell’ex governatore Enrico Rossi e poi, per un certo periodo, di Eugenio Giani (entrambi estranei alla vicenda): era accusato di corruzione. Sette anni erano stati invocati, infine, anche per Mauro Maccari (seguito dal penalista Stefano Del Corso), ex direttore sanitario Asl, anche lui ritenuto dalla procura responsabile di corruzione. Il teorema accusatorio poggiava su un binomio: l’incarico Asl in cambio di voti, in quanto "il tornaconto – aveva detto il pm in requisitoria – era il pacchetto di voti". Secondo la pubblica accusa il percorso che portò alla nomina di Sbrana fu "una messa in scena cominciata nel 2015, per proseguire con la sua nomina di facente funzione dell’unità operativa di psichiatria e terminare nel concorso conclusosi nel 2018 con una falsa auto dichiarazione". Il pm aveva definito gli imputati gli artefici di "un’operazione triangolare: di Gori che ha avuto un obiettivo politico, di Sbrana, un obiettivo egoistico, e Maccari, un obiettivo professionale". La violenza sessuale, era stata contestata a Sbrana dalla procura dopo aver passato al vaglio le intercettazioni telefoniche che avevano innescato l’inchiesta: il medico parlava con una donna giovane che si scoprì essere sua paziente e amante. Una relazione che, secondo gli inquirenti, si era consumata in costanza di un rapporto medico-paziente. Secondo la sostituta procuratrice, le patologie di cui era affetta la presunta vittima e le assunzioni di farmaci, avrebbero inciso sulla libertà della donna, ritenuta incapace di assumere un atteggiamento critico delle situazioni. Teorema contestato dalla difesa che rileva: "L’accusa di violenza sessuale era costruita su un ipotetico consenso viziato della signora – dice l’avvocato Giulia Padovani – con cui il mio assistito ha avuto una lunga relazione, quando la validità del consenso era già emersa in sede di incidente probatorio con la perizia del dottor Lagazzi. La patologia della donna non incideva sulla sua volontà". Ieri dopo le repliche di accusa e difesa, il collegio (Dani, Zucconi, Vatrano) si è ritirato in camera di consiglio: tutti assolti. "Soddisfatti per l’esito processuale che riflette correttamente ciò che era stato già accertato", commenta l’avvocato Marzaduri. "Sono riuscito ad andare avanti nonostante tutto, dedicandomi con passione alla professione che ho scelto – spiega il dottor Sbrana – I numerosi attestati di stima di amici, colleghi e pazienti mi hanno sostenuto e consentito di affrontare questo lungo cammino". Ancora: "Ho sempre serbato profondo rispetto e fiducia nella Magistratura, con la salda convinzione che prima o poi la verità sarebbe stata riconosciuta. Ringrazio i miei avvocati, Giulia Padovani e Salvatore Grillo, per la professionalità con cui in questi anni mi hanno sostenuto".
Antonia Casini
Carlo Baroni