Pisa, 4 maggio 2021 - Il nonnismo non è solo un fatto militare, anche se avviene in una caserma, e nel caso di Emanuele Scieri, il parà trovato morto nell'agosto 1999 ai piedi della torre di addestramento della Folgore, a Pisa, non vi era nessun «rapporto gerarchico-disciplinare» tra i tre ex caporali sotto accusa e la vittima. Dunque l'ipotesi da valutare è l'omicidio volontario, non un reato militare, e deve occuparsene la magistratura ordinaria. A queste conclusioni è arrivata la Cassazione, sciogliendo il conflitto di giurisdizione tra i due uffici giudiziari che per lungo tempo hanno indagato in modo parallelo.
Per anni quello di Emanuele, giovane parà siracusano, è stato un mistero irrisolto. La commissione parlamentare d'inchiesta ha lavorato per un anno e mezzo. Poi nel 2018 a Pisa c'è stata un'accelerazione e la procura ha indagato per omicidio volontario con l'aggravante dei futili motivi tre ex caporali della Folgore - Alessandro Panella, Luigi Zabara e Andrea Antico - e due ex ufficiali, accusati di favoreggiamento: Enrico Celentano, all'epoca dei fatti comandante dei paracadutisti, e Salvatore Romondia. Lo scorso anno anche la procura militare è arrivata alle stesse conclusioni e ha chiesto il rinvio a giudizio nei confronti dei soli Panella, Zabara e Antico per il reato militare «Violenza contro inferiore mediante omicidio pluriaggravato, in concorso».
Con due procedimenti paralleli era inevitabile il conflitto. Così la Cassazione a febbraio ha disposto che il caso sia di competenza della sola magistratura ordinaria. Nelle motivazioni della sentenza, depositate oggi, la prima sezione penale descrive, infatti, la pratica del «nonnismo» come «sopraffazione» all'interno di un gruppo, che prescinde dal rapporto gerarchico militare anche se avviene in una caserma. I giudici spiegano che le «disdicevoli ragioni» e gli «atti di sopraffazione non sono in sé ricollegabili al dispiegarsi del rapporto gerarchico, così come al servizio o al rispetto della disciplina militare». Quello che conta è piuttosto «l'anzianità» di appartenenza a un gruppo. Nel caso di Scieri, la Cassazione ha valutato i fatti descritti dall'accusa «estranei al servizio e alla disciplina militare», ritenendo che non vi fossero i presupposti per il reato contestato dalla procura militare di «violenza contro inferiore». Nelle ricostruzione dell'accusa, spiega la Cassazione, non vi era alcun «rapporto gerarchico-disciplinare» tra gli autori della condotta e Scieri: non erano impegnati in attività di servizio e si trovavano in caserma in abiti civili. Entrambe le indagini hanno ricostruito le vessazioni e il pestaggio: Emanuele precipitò e venne lasciato morire in solitudine. A tale proposito, la Cassazione rileva che «vi è piena concordanza nella descrizione delle accuse nelle diverse sedi» sulla base degli accertamenti medico-legali; descrizione «che vedeva gli autori del fatto fiaccare la resistenza di Scieri tramite violenti colpi, mentre egli saliva, in condizioni di insostenibile stress, la scala della torre di prosciugamento dei paracadute». Emanuele riportò lesioni gravissime, fu ritrovato tre giorni dopo la scomparsa. Secondo una consulenza citata anche nella sentenza della Cassazione «la morte è sopravvenuta istantaneamente o quasi».