REDAZIONE PISA

Seduti siamo tutti uguali. Inclusività? Parola magica

CLASSE V A, SCUOLA PRIMARIA "CHIESA" IC "FIBONACCI", PISA. Eva Ceccatelli, una passione lunga quarant’anni: dalla pallavolo alle paralimpiadi di Tokio e Parigi. .

Gli alunni delle classi V A e V B con la campionessa Eva Ceccatelli

Gli alunni delle classi V A e V B con la campionessa Eva Ceccatelli

Un cuore che batte per la pallavolo e che non si è fermato davanti alle difficoltà, dimostrando che lo sport è inclusione. Si può riassumere così la passione di Eva Ceccatelli per la pallavolo. Lei, che giocava ai massimi livelli e che, dopo una brutta malattia che le ha causato seri danni alle mani, è rinata grazie al sitting volley, del quale è stata bandiera alle Paralimpiadi di Tokio e Parigi. Un’avventura che è iniziata proprio a scuola quando, racconta: "Durante l’ora di educazione fisica non riuscivo a tirare la palla oltre la rete e questa cosa mi rodeva. Un pomeriggio, tornai a casa e dissi ai miei genitori che volevo giocare a pallavolo per migliorarmi. Me ne innamorai. A 16 anni ero in serie B e a 22 in serie A".

Poi è sopraggiunta la malattia. "Esatto. A 25 anni mentre giocavo la finale europea e le mani hanno iniziato a farmi molto male. Era il 6 dicembre 1999: la mia ultima partita da atleta di pallavolo".

Come è arrivata al sitting volley? "Nel 2016 allenavo una squadra giovanile e il Dream Volley Pisa mi ha chiesto se ero disponibile ad aiutare due ragazze della nazionale italiana di sitting volley. Mi si è aperto un mondo: sono tornata sotto rete e sono tornata anche a vivere".

Uno sforzo non da poco. "Purtroppo coinvolgere adulti o famiglie nei parasport è molto difficile perché hanno paura di non farcela fisicamente o del fallimento. Bisogna provarci".

Cosa si può fare per favorire l’inclusione? "Quello che abbiamo fatto oggi in classe: parlarne, informarsi e conoscere il mondo della disabilità per non far sentire nessuno da meno. Anche noi disabili siamo come gli altri e le Olimpiadi me l’hanno dimostrato".

In che senso? "Durante la sfilata delle Olimpiadi e Paralimpiadi di Parigi. C’erano due mascotte uguali in tutto, l’unica differenza era che una aveva una protesi. Anche le divise erano le stesse: eravamo tutti uniti sotto la bandiera dello sport".

Le piacerebbe un’unica Olimpiade? "Come idea sì. Nella pratica sarebbe complicato... Poi con compagni come Tamberi e Bolt non saremmo considerati".

Nelle Paralimpiadi invece siete voi i protagonisti. "Siamo tutti disabili e ti senti più a tuo agio, oltre ad avere molta visibilità in televisione, sui giornali, sui social... Ecco dovrebbe essere così tutto l’anno: sarebbe un segno di grande inclusione".

Parlare di disabilità basta per rendere il mondo più inclusivo? "Le parole hanno un potere enorme, solo che bisogna fare di più: serve una vera e propria educazione all’inclusione".