Il caso della sparatoria la Cep è arrivato al capolinea della di Cassazione che ha rigettato il ricorso di Patrizio Giovanni Iacono, 24 anni, mandando definitivo il pronunciamento della Corte d’appello. Iacono è stato ritenuto responsabile di un tentato omicidio e del reato di lesioni aggravate nei confronti di altre tre vittime. E per questo condannato alla pena complessiva di 9 anni e 4 mesi esclusa l’aggravante dei futili motivi, ritenuta la continuazione tra i reati, e comprendendo nella pena anche la condanna per la detenzione delle armi.
Una delle due contestazioni di tentato omicidio, infatti, era stata riqualificata dai giudici di secondo grado in lesioni personali aggravate. Era febbraio 2017 quando il ventiquattrenne di Alghero, ora libero, sparò all’esterno della caffetteria Tirreno del Cep. Rimasero ferite cinque persone (quattro portate in ospedale). I presenti, al bar, lo avrebbero rimproverato per il comportamento spericolato che stava tenendo in sella alla moto. La sparatoria avvenne al mattino e il suo ritrovamento (da parte della mobile che con i carabinieri titolari dell’indagine stavano setacciando la zona), intorno alle 22.30 dello stesso giorno: era nascosto sotto un camper parcheggiato non lontano dalla sua casa. Ad aprile 2019 era arrivato il verdetto con cui era stato condannato, in primo grado, a 15 anni 9 mesi e 10 giorni. Una sentenza che l’avvocato Giuseppe Carvelli impugnò in appello riuscendo a scardinare parte dell’impianto accusatorio ottenendo un significativo sconto della pena rispetto alla condanna iniziale. Al centro del duello tra accusa e difesa c’erano state fin da subito le traiettorie dei proiettili e le valutazioni sull’intenzionalità nell’azione di Iacono.
Il reato di tentato omicidio verso una delle vittime della sparatoria resta definitivamente in piedi. I giudici dell’appello lo hanno confermato evidenziando che: lo Iacono aveva puntato la pistola contro l’uomo, e aveva esploso in direzione di questi due colpi, uno dei quali aveva colpito la vittima mentre l’altro, diretto al volto, era stato schivato. "I colpi erano stati sparati da distanza ravvicinata, compresa tra i cinquanta centimetri e un metro – si legge –: la parte del corpo attinta dal proiettile era da ritenersi vitale; la ferita era stata di ridotte dimensioni e non letale solo perché il proiettile aveva colpito accidentalmente un bottone metallico dei jeans". Da qui il rigetto da parte degli ermellini del ricorso che aveva puntato il dito proprio sulla qualificazione di quell’episodio come tentato omicidio.
Carlo Baroni