
Bologna, 6 aprile 2025 – Nicoletta D’Andrea si fa portavoce della sua numerosa famiglia a cui è stato strappato via un pezzo: il loro Alessandro, “il nostro inventore”, è rimasto ucciso nel disastro di Suviana il 9 aprile 2024. Lo piangono, inconsolabili, Nicoletta, l’altra sorella, Federica, il papà Daniele, la mamma Carla e poi Sara, la compagna di Alessandro da una vita.

Hanno perso l’amato figlio, fratello e fidanzato (originario di Forcoli, Pisa) nell’esplosione della centrale elettrica di Bargi, nota come ‘la strage di Suviana’: aveva appena 37 anni. I familiari sono assistiti dall’avvocato Gabriele Bordoni. Il pomeriggio del disastro, di cui ricorre l’anniversario mercoledì, hanno perso la vita altre sei persone. E ad oggi, l’acqua nella centrale è ferma al piano meno 5, in attesa di un importante intervento dei vigili del fuoco, per cui per ora non è stato possibile svuotarla ulteriormente e dunque far entrare i periti per i primi sopralluoghi. Sul fronte giudiziario, dopo 12 mesi, non sono ancora emerse novità dalle indagini per disastro colposo, omicidio plurimo e lesioni colpose.
“Mio fratello faceva sempre una cosa buffa. Cercava i luoghi strategici dove nascondersi se fosse successo un disastro: camere chiuse a stagno, giunti ermetici, e così via. Quel giorno maledetto, la prima cosa che ho chiesto al telefono al suo responsabile è stata di descrivermi la pianta della centrale. Sono un architetto, mi è venuto d’istinto. Man mano che lui parlava, ho cercato di immaginare dove avrebbe potuto rifugiarsi, ma ben presto mi sono resa conto che non c’era un posto dove nascondersi. Ho sperato fino all’ultimo. Il corpo di mio fratello è stato trovato l’11 aprile. Non si possono mandare delle persone a morire 40 metri sotto il livello dell’acqua".
Nicoletta D’Andrea, lei ha perso suo fratello Alessandro, 37 anni, nella tragedia di Suviana, il 9 aprile 2024. Come seppe del disastro, quel giorno?
"Quella mattina, attorno alle 12, Alessandro aveva mandato un messaggio alla compagna e a mio padre. ‘Ho finito, torno a casa’. Avevano fatto le prove, mancava una verifica finale. Più tardi, stavo andando in stazione e mi ha chiamato mia mamma disperata: ‘È successo qualcosa ad Alessandro’. Se avessi potuto, avrei spinto quel treno, pur di arrivare. Anche se non sarebbe servito a nulla. Sapevo che era successo qualcosa di brutto, l’ho capito dalla voce del mio babbo”.
Quei ricordi sono indelebili.
"Di quei giorni, ricordo la pioggia incessante, una grandissima confusione, non si capiva niente. Non ci davano notizie, allora ho implorato i carabinieri locali perché si mettessero in contatto con quelli di Camugnano. Mio fratello era disperso, ma avevo ancora la remota speranza che si fosse salvato”.
Sette le esistenze inghiottite da un inferno di acqua e fuoco quel giorno. Qualcuno, però, è riuscito a salvarsi. E si è messo in contatto con voi.
"Stefano Bellabona, uno dei sopravvissuti, è stato l’ultimo ad aver parlato con Alessandro, pochi secondi prima dello scoppio. Si sono detti: ’Cosa sta succedendo, cos’è questo rumore?’ Poi il collega è andato verso le scale, mio fratello invece verso gli ascensori. O forse l’onda d’urto l’ha spostato. Si saranno guardati, lui e mio fratello, in quegli ultimi attimi, e io questa scena posso solo immaginarla perché Stefano non ricorda più niente. Rimase privo di sensi e ustionato per il 70 per cento del corpo. Speravo non si fossero accorti di quanto succedeva. Purtroppo, non è stato così”.
Da quel momento, le vostre vite sono stravolte.
"Mio fratello era fiero di quell’impianto, tanto che a Pasqua (pochi giorni prima della tragedia, ndr) disse: ‘Mamma, quando avrò finito di sistemare quell’impianto vedrai, questa centrale farà la storia’. L’ha fatta, la storia – si commuove –. Noi, certo, andiamo avanti con le nostre vite, ma non sarà mai più la stessa cosa. Questo non si può superare, è un vuoto incolmabile. Perché ogni volta che penso a qualcosa di bello, che vorrei condividere con lui, non lo posso più fare. Lui era il mio primo sostegno, la presenza fissa, il mio porto sicuro”.
La vita si è fermata anche per Sara, sua compagna di sempre.
"Stavano insieme da 17 anni. Lei fa parte della nostra famiglia, e il disastro non ci ha divisi. Ma le è crollato il mondo, è sprofondata in un dirupo senza fine. Erano inseparabili, prendevano insieme tutte le decisioni. Mio fratello era un amante della montagna, della natura, della pesca. E aveva moltissimi hobby. Era il nostro inventore, lo chiamavamo ’aggeggione’, in toscano, costruiva cose. E il più delle volte era un disastro – sorride al ricordo –. Aveva un sacco di sogni, di progetti, anche con Sara, e tutta una vita per realizzarli. Ma non ha fatto in tempo. Niente e nessuno ce lo potrà ridare. Non doveva succedere, i lavoratori dovevano essere protetti”.
E fra voi un solo anno di distanza, eravate come gemelli.
"È come se avessi perso una metà di me. Era mio fratello, non avrei mai potuto immaginare una vita senza di lui. Ci penso 24 ore al giorno. I primi mesi, non sono riuscita a lavorare, né a stare con mia figlia, per la frustrazione, il dolore, l’assenza, il non senso di tutto. La rabbia”.
Ed è una rabbia immensa...
“Sì, ma non rivolta ai sopravvissuti, che anzi stanno pagando molto caro ancora oggi. È verso i proprietari della struttura, verso chi professa la sicurezza sul lavoro quando di sicurezza non c’è nemmeno l’ombra, perché dietro tutto questo c’è il dio denaro, il profitto che si vuole sempre maggiore a discapito della vita umana”.
Dopo un anno, ancora niente dall’inchiesta.
"Il nostro timore è che non si sappia mai nulla. Che tutto finisca in una nuvola di fumo. Ma la cosa che ci fa ancora più paura è che incolpino i morti: persone perbene, lavoratori fiero di quello che facevano, come Alessandro, piccolo piccolo rispetto alle grandi potenze. Questo ci fa paura: che addossino la colpa a chi non si può più difendere. Non si devono permettere”.