Nessun dubbio, per i giudici, che artifici e raggiri siano stati messi in atto per indurre in errore le coppie di genitori adottanti. Perché queste avevano inteso stipulare un contratto per un’adozione internazionale rivolgendosi ad un ente italiano che opera lecitamente in Italia e all’estero, iscritto all’albo e sotto il controllo degli enti di vigilanza. E questo contratto "non prevedeva certamente il fatto di affidarsi a organizzazioni criminali e a persone legate a reti illegali e nemmeno di agire con condotte illecite e corruttive", si legge in un passaggio delle lunga sentenza con cui il Collegio del tribunale di Savona motiva la condanna inflitta nel luglio scorso al vertice dell’Associazione Airone: quattro anni di reclusione a Silvia La Scala, 71enne, presidente della Onlus con sede legale ad Albenga (che aveva una sede anche a Pisa) finita nel mirino della procura dopo la denuncia delle coppie che avevano pagato ingenti somme di denaro nella speranza di adottare bimbi kirchizi. La prima denuncia in Italia, nel 2013, partì da Pisa e fu fatta dalla coppia Alessia Raglianti e Tiziano Bernardini (assistiti dall’avvocato Tiziana Mannocci): da lì se ne aggregarono altri a ruota anche da Roma e da Bergamo.
Tutti genitori "traditi" e che quel tradimento lo hanno tradotto in denunce e poi nella costituzione di parte civile. Genitori che – scrive il tribunale – "non potevano immaginare che non si trattava di una adozione internazionale ma di una situazione assimilabile a un "acquisto di bambini" effettuato ottenendo falsi accreditamenti, falsi abbinamenti, false sentenze". Un contesto del quale Silvia La Scala, per i giudici, "aveva piena consapevolezza e avrebbe dovuto rappresentarlo alle parti". Invece "non solo lo ha occultato, ma non ha detto nulla nonostante fosse pienamente consapevole". "E anche se si ipotizzasse – riprendono i giudici – che La Scala non abbia percepito immediatamente in maniera chiara che Anghelidi (il referente sul posto di Airone) era il rappresentante di una rete criminale, la stessa avrebbe dovuto rappresentare alle coppie i fatti gravissimi di cui era venuta a conoscenza, la illegalità di tutta la situazione".
La sentenza ricostruisce tutta la lunga inchiesta, viaggio per viaggio, i singoli episodi per ogni coppia alla quale, almeno nella fase iniziale, veniva prospettato l’abbinamento con il bambino "come l’inizio di una gravidanza e la foto del piccolo come un’ecografia, creando con ciò – scrivono i giudici – aspettative. Si ritiene che anche le infinite rassicurazioni, circa la serie degli abbinamenti e circa il fatto che i loro bambini stavano bene, rappresentino artifici effettuati in malafede e finalizzati ad evitare l’abbandono delle coppie". Le coppie, aspiranti genitori che si erano affidati alla onlus, non sapendo a che cosa andavano incontro, continuavano a versare importanti somme di denaro. I genitori avrebbero partecipato, una volta sul posto, a incontri fasulli, a loro insaputa, anche con sedicenti giudici locali per far credere che l’iter stava andando avanti e che quello a cui stavano assistendo erano veri iter burocratici. Era tutto un raggiro.
Carlo Baroni