
Gennaro Gattuso (Valtriani)
Pisa 6 agosto 2016. «Siamo in battaglia e combattiamo. Fino alla fine. Perché siamo abituati così: siamo una famiglia che è abituata a conquistarsi le cose con il sudore, Rino viene da generazioni di maestri d’ascia e da marinaio non poteva che innamorarsi della repubblica marinara». Eccolo qua il motivo di tanto attaccamento alla città. La carriera, certo. L’opportunità di portare avanti un progetto professionale di successo. Ma poi c’è di più, l’amore di Gattuso per Pisa lo può spiegare chi conosce il tecnico meglio di ogni altro: il padre Franco.
La Nazione lo incontra nella hall della casa di cura San Rossore, dove Gattuso senior si sta sottoponendo ad alcune cure oculistiche. Più che un’intervista, è un viaggio. Dentro il cuore di Gattuso e anche nella sua testa. Ma la ragione resta fuori, è cuore e sangue. Passione e amore. Totalizzante e ricambiato. «Rino adora questa città e la sua squadra – spiega Franco Gattuso – ed è ricambiato perché il suo è stato un darsi a prescindere, senza chiedere nulla in cambio. E’ il profumo del mare che qui si respira che lo ha fatto innamorare subito, più che a Creta, dove pure la situazione era ugualmente complicata. Ma lì c’era un intero Paese in ginocchio, qui invece è diverso. Sembra un dispetto, non una crisi». Franco si accalora e allora va indietro nel tempo: al 12 giugno. Al trionfo di Foggia. La trattativa in corso non fa parte del nostro colloquio, quasi non ci interessa. Qui raccontiamo una storia d’amore che, probabilmente e comunque vada, non finirà mai: «Noi allo Zaccheria c’eravamo, sappiamo come siamo stati trattati. Ci hanno preso a schiaffi. E anche lì abbiamo combattuto. Lo abbiamo fatto per Rino e la città. Perché i tifosi pisani ormai sono la nostra tribù».
E’ un tipo passionale Gattuso senior: «Abbiamo vinto tutto eppure qui è scattato qualcosa di diverso, qualcosa di più. Combattiamo per la nostra gente. Che ci ha accolto come uno di loro. Monica e i bambini (la moglie e i figli di Rino, ndr) si sono sentiti subito a casa. Non siamo scappati e infatti io sono qui. E mi sento a casa di amici. Sono altri che devono prendersi di proprie responsabilità. Non c’entrano solo i successi calcistici, è il calore umano che la nostra famiglia ha ricevuto da questa gente che ci dà amcora la forza di combattere». Curiosamente Franco usa sempre l’indicativo presente e spesso alza anche il tono di voce: si vede che sta combattendo anche lui, insieme a Rino e al resto della famiglia, una ‘guerra’ che ritiene giusta, sacrosanta. «Perché – dice – quello che Rino deve dimostrare da allenatore sarà il tempo a dirlo, è giovane e ha tutta la carriera davanti. Ne deve scorrere di acqua in mare, ma qui dobbiamo difendere la città. Il suo onore».
E poi ci riserva l’unica incursione calcistica di tutta la chiacchierata: «A pallone giocavo meglio io, facevo un sacco di gol e lui invece è stato un medianaccio. Ma lo sa anche Rino, glielo dico sempre». La battuta serve a riportare serenità, ma è un attimo perché Franco parla quasia ruota libera e insiste: «La città ci vuole bene perché ha capito quanto anche noi l’abbiamo amata da subito. Per questo dobbiamo lottare tutti insieme in questa battaglia. Rino lo sento ogni giorno, si fa il sangue amaro. Ma io non entro nel merito della questione. So come la pensa e conosco il suo cuore. E condivido ogni sua scelta. Il resto sono chiacchiere, ma Pisa tanto ha già capito eccome».