A lezione da Crepet durante il Blues: "Mordere il cielo", storie d’incontri

Lo psichiatra e scrittore sarà domani sera sul palco di piazza del Duomo con il suo ultimo libro

A lezione da Crepet durante il Blues: "Mordere il cielo", storie d’incontri

A lezione da Crepet durante il Blues: "Mordere il cielo", storie d’incontri

"Genitori in massa agli esami di maturità dei figli, fiori in mano. Un esame, che tutti abbiamo affrontato. Ma come? La vita di esami è piena. Dove siamo arrivati? Così questi ragazzi li distruggiamo". Cadono i muri con Paolo Crepet, psichiatra e sociologo, che nel suo essere professionista e nel suo scriver libri a partire dai titoli già dichiara un manifesto: "Baciami senza rete", "Il coraggio", "Passione", "Libertà", "Lezioni di sogni", "Prendetevi la luna", tutti inviti a vivere la vita godendo dell’emozione che si rinnovano anche in "Mordere il cielo", ultimo uscito per Mondadori.

Sarà questo libro il protagonista con il suo autore della serata di domani, mercoledì 10 luglio, (ore 21) in piazza del Duomo (biglietti su ticketone.it).

Dottore, assumere posizioni, avere un’idea: ci vuole coraggio?

"Sono nato per avere opinioni. Sono serviti anni, ma ora ho idee molto chiare sui pericoli enormi che corriamo. Il fatto che tutti i teatri in cui sono stato siano andati sold out significa che la gente è disperata. Che cerca un angolo dove avere un’idea di futuro. Nel libro racconto tanto di me e dei miei incontri. Scrivo non per vezzo, è una preoccupazione che non posso non avere. A esempio verso l’invasione delle tecnologie, i cui fini e risultati sono sconosciuti. Non il barista sotto casa, ma illustri scienziati sostengono che l’intelligenza artificiale svuoti il cervello. Servono umiltà e attenzione".

Più volte chiama in causa i quarantenni di oggi. Perché li ritiene inadeguati come genitori?

"Sono i figli della mia generazione, cioè figli di una disattenzione o illusione. Volevamo educare senza essere autoritari, dimenticandoci di essere autorevoli. La mia generazione per prima non ha creduto nella scuola, nella fatica che si fa a vivere, sperimentare. I soldi ci hanno offerto il miraggio. A questo abbiamo sacrificato tutto, scambiando lo scopo col metodo, pensando che l’umanità dovesse perseguire comodità e benessere a tutti i costi".

Sono molti i ragazzi che le scrivono? Chiedono qualcosa o vogliono solo parlare?

"Hanno bisogno di parlare con chi reputano saggio, che non pettini la gente per il verso del pelo. Di recente un ragazzo mi diceva di essersi iscritto a una facoltà scientifica pur amando le lettere. Cercava consigli. Gli ho detto: “Scappa. Ti daranno del pazzo, ma passare cinquant’anni di vita senza passione non lo consiglierò mai“".

Nel libro fa riferimento anche alla cronaca, a Giulia Cecchettin…

"In quei giorni mi permisi di dire che l’assassino oltre a quel ragazzo era la solitudine. Un dato evidente, confermato anche solo dal numero di messaggi che lei riceveva da lui. Chi si è accorto di questo? A monte di tutto c’è l’empatia. Questo libro è un grido: state attenti a togliere l’empatia, da soli non si fa nulla. È spuntata allora quell’idea dell’ora sentimentale a scuola. Questa è la condanna della scuola, già di per sé emozione, sentimento. E infatti non è cambiato nulla. Ne hanno ammazzate ancora. Perché la cosa importante è non cambiare nulla. Neanche la scuola. Se non in peggio. Togliendo voti e pagelle".

Educare a mancarsi e a perdere: come si fa?

"Siccome noi non abbiamo fatto mancare niente a nessuno, siamo diventati deboli. Succede anche in economia, le aziende fanno fatica perché le nuove generazioni non sanno perdere. E perché i nostri bambini non sanno cosa vuol dire gioco. Al massimo perdi con la play, fai reset e ricominci. Ma in amore no, non funziona così. E allora meglio non viverlo quell’amore, che di perdere nessuno ha voglia".

linda meoni