REDAZIONE PISTOIA

Addio all’imprenditore Fabbrini. Sognò di restituire alla città le meraviglie di Giaccherino

Il figlio Alessandro racconta l’avventura del padre, dalla guerra fino ai vertici del made in Italy "Il crollo al convento fu per lui un trauma devastante, dal quale non si è più ripreso".

Il figlio Alessandro racconta l’avventura del padre, dalla guerra fino ai vertici del made in Italy "Il crollo al convento fu per lui un trauma devastante, dal quale non si è più ripreso".

Il figlio Alessandro racconta l’avventura del padre, dalla guerra fino ai vertici del made in Italy "Il crollo al convento fu per lui un trauma devastante, dal quale non si è più ripreso".

Ha chiuso gli occhi lasciandosi alle spalle una straordinaria vita da imprenditore del tessile che ha sempre avuto a cuore la sua famiglia, la sua comunità, la sua azienda, i suoi lavoratori e che era quasi riuscito a coltivare il più grande dei suoi sogni: restituire alla città di Pistoia la meraviglia del convento di Giaccherino. Non ce l’ha fatta, e il suo ultimo anno di vita è stato segnato dall’immenso dolore del drammatico crollo del 13 gennaio 2024, quando la festa di matrimonio di due giovani sposi, soltanto per caso, o per miracolo, non si trasformò in una terribile tragedia. Aldo Fabbrini è morto a 93 anni e da ieri la sua famiglia, la moglie Giuliana Trinci e il figlio Alessandro, ricevono l’omaggio, e l’abbraccio, di tutto il mondo imprenditoriale italiano, oltre che degli amici, dei conoscenti e di tutti coloro che, in questo lungo cammino, lo hanno conosciuto e apprezzato. I funerali si svolgeranno stamani, alle 9.30, in San Niccolò.

Ed è Alessandro Fabbrini, classe 1967, che, con infinito amore, ci aiuta oggi a ricostruire, a ricordare, la figura del padre, dagli anni Trenta fino a oggi. La storia di Aldo è anche la storia di Agliana.

"Il babbo nasce nel 1932 ad Agliana, in pieno tempo di guerra, quello che ha formato il suo carattere. Aveva due sorelle. C’era la fame, in quel tempo, e lui mi raccontava sempre che davanti a casa, a San Niccolò, c’era un campo pieno di cipolle. Lui e le sue sorelle si toglievano la fame mangiando quelle cipolle e poi si ritrovavano le labbra tutte gonfie per l’irritazione. Cominciò prestissimo a lavorare, aveva sette anni. Facevano i cannelli – spiega Alessandro – per l’orditura dei telai, le spole molto grandi per le trame del telaio. Era un ambiente molto rumoroso".

Il primo passo imprenditoriale vero e proprio arriva nel 1959, quando Aldo Fabbrini apre la sua prima confezione nel garage di casa, con un socio.

"Comprò le macchine da cucire a forza di cambiali, ne firmò a pacchi – racconta Alessandro – la lavorazione iniziò con l’aiuto della nonna e delle sorelle del babbo. Facevano pantaloni: da uomo e da donna. Dopo qualche anno affittarono un capannone e nacque il primo lanificio, sopra c’era l’appartamento, come usava a quell’epoca. Era la fine degli anni Sessanta, e nel 1967 sono nato io.

"L’attività continuò a crescere e mio padre negli anni successivi dette vita all’azienda di confezioni. Aveva tanti dipendenti e vinse anche il premio per l’export. Negli anni Ottanta la presentazione definitiva della Claid, sulla superstrada, a Spedalino. Qui costruì la sua fabbrica, lui che era cresciuto accanto a Sergio Cammilli, il direttore della Poltronova, che aveva respirato quell’atmosfera creativa che rese unica Agliana in quegli anni, sotto la luce di personalità come quelle di Ettore Sottsass, Gae Aulenti e Giovanni Michelucci". Anni indimenticabili, e Aldo Fabbrini ebbe la fortuna di avere quella determinazione che affondava negli anni Trenta, quando soffriva la fame davanti al campo di cipolle.

"Era un imprenditore vecchio stampo – racconta ancora Alessandro – lavorava con tutte le piazze d’Italia e viaggiava moltissimo, Parigi, Londra, New York a fianco di Guazzini, Montezemolo, un bel gruppo di imprenditori che spesso erano a casa da noi. Lui non guardava mai alla quantità, ma soltanto alla qualità del prodotto, grazie al quale siamo diventati fornitori delle firme più prestigiose. E tutto questo è servito anche a me, quando sono subentrato, negli anni Novanta, dopo il Polimoda, e da lì è partita una nuova fase che ci ha portato nelle fiere di tutto il mondo, e sempre da Agliana con il made in Italy di alto livello. Fino al Duemila c’è stata una grande fiducia e fu allora che, con la sua grande passione immobiliare, accarezzò, con Roberto Tonti, il grande sogno di Giaccherino. Seguì personalmente tutti i lavori di ristrutturazione e si circondò dei professionisti più prestigiosi, volle riscoprire il cenacolo, lui che aveva tanto amore, e sapeva valorizzare le cose belle.

"Giaccherino era una cosa in più. Lì avevo da poco battezzato mio figlio e nulla faceva presagire quello che poi è accaduto. Quella sera il custode mi chiamò e mi disse di correre. Mio padre invece stava tornando da Montecatini insieme a mia madre. Vedeva le luci tutte colorate, pensava che fossero quelle della festa, invece erano le ambulanze. Una volta a casa, sappe tutto dal telegiornale e per lui fu uno choc devastante. Cominciò a perdere la concentrazione. Lo portai dal dottor Gabbani, un geriatra di Careggi che al termine della visita venne da me e mi disse che dal test era emerso un grosso drauma. E noi gli dicemmo di sì, che era vero. Non riuscì più a partecipare alle riunioni con gli avvocati, e mia madre è rimasta sempre accanto a lui. Aveva un sogno, mio padre, restituire Giaccherino alla città di Pistoia".

lucia agati