Si respira aria buona, a pieni polmoni, dialogando con Amedeo Minghi, di scena domani sera, dalle 21, al Teatro Verdi di Montecatini con il tour teatrale Anima sbiadita, che racconta il mondo d’oggi. Come stare bene per qualche minuto, calandosi nella società di un tempo, a dimensione più umana. Dopo anni di assenza dalla città termale, eccolo sul prestigioso palco. Che spettacolo sarà?
"Faremo un viaggio dentro Anima sbiadita – sostiene – con un primo tempo dedicato al disco e un secondo all’interno di quello che definisco il nostro comune passato".
Tra i suoi successi, ormai immortali. "Quest’anno hanno ricevuto un disco d’oro dopo 41 anni ‘1950’ e dopo 34 ‘Vattene amore’. Certificato da FIMI e SIAE: i dischi effettivamente venduti. Spesso si fa confusione con gli ascolti, che possono essere prezzolati, dipendere cioè dalle campagne pubblicitarie".
Perché Anima sbiadita? "Il titolo sta attorno a questo, a quello che non è ben definito, che è nell’aria come la nebbia, che si vede ma non si tocca. È un mondo nebuloso l’attuale, di tensioni e guerre, un periodo storico molto complicato. Siamo sbiaditi noi, a tutti i livelli. Del disco, mi auguro il gradimento dell’ascoltatore e che, magari, faccia riflettere sulla solitudine, sul tempo che trascorre, sui ricordi di cose vissute o mancate".
Una società regredita, l’odierna, rispetto a tanti anni fa. "Vero. Si dialoga col cellulare. Sono cresciute le solitudini. Siamo connessi con tutto, apparentemente, ma dentro questo c’è una solitudine intensa. Ci guardiamo da lontano, non ci osserviamo: ci spiamo. I video che postiamo: è tutto un po’ stupido. In romanesco si direbbe ‘che stamo a fa’? Dove stiamo andando? È come se fossimo su una Ferrari, lanciati a 350 all’ora, senza fari, su una strada buia".
Musicalmente che periodo è? "Identico: c’è notevole confusione. Un’omologazione forte: tutto stabilito, precotto, preparato. I giovani di oggi scrivono con l’intelligenza artificiale. Tutto inscatolato. Non c’è spazio per l’artista, che scrive sì cose inutili, ma che sono bellissime e facendo parte della bellezza recano in sé un messaggio straordinario. Cose che servono all’anima, che ci fanno tanto comodo. Le auto sono scatole, tutte uguali. Le radio generaliste trasmettono la stessa musica. Si salvano quelle tematiche, che hanno musica bella, dei vecchi tempi".
Resteranno le canzoni di oggi? "No, ma non perché siano brutte; perché sono fatte per essere consumate subito, un po’ come gli elettrodomestici, che devono durare pochi anni".
C’è rimasto male nel non essere stato selezionato per Sanremo? "No. Incontrai Carlo (Conti, ndr), che conosco, e gli segnalai il mio pezzo, ma senza aspettarmi niente. Avrei portato una cosa particolare, che avrebbe fatto bene al Festival, per uscire un po’ dagli attuali canoni. Sarebbe stata molto moderna (sorride, ndr). Oggi è tutto standardizzato. Ogni città del mondo ha le stesse insegne, gli stessi prodotti in vendita. Quasi non c’è più gusto a viaggiare. Teniamoci strette le buche romane: almeno quelle sono vere e peculiari della Capitale". Grande, Maestro.
Gianluca Barni