Pistoia, 15 marzo 2015 - «Ci dispiace, a scuola, la benedizione pasquale non la vogliamo». Si è sentito rispondere più o meno così don Renzo Aiardi, parroco di Casalguidi quando, nel periodo quaresimale, sia due anni fa che lo scorso anno, ha contattato la dirigenza del polo scolastico «Ilaria Alpi» a pochi passi dalla parrocchia, per incontrare la comunità scolastica e portare, solo a chi desiderava, un pò di acqua santa. A quanto pare la scelta di non procedere più con la tradizionale benedizione è stata del consiglio di istituto formato dal dirigente scolastico Lucia Maffei e da una rappresentanza di docenti, genitori e personale Ata. Al parroco è stato spiegato che evitare il rito cattolico rappresenta una forma di rispetto verso gli alunni che praticano altre religioni. Eppure, quando nel lontano dicembre 2012, la nuova struttura scolastica venne aperta al pubblico don Renzo Aiardi fu chiamato proprio a portare quella stessa benedizione della chiesa che oggi la scuola non vuole più.
«Ci sono rimasto male – spiega il parroco –. Non è per il simbolo religioso quanto per la mancata occasione di far stare tutti insieme i bambini. Proprio nelle scuole i ragazzi dovrebbero essere educati a rispettare credi diversi e non a lasciarli fuori dalla porta perchè è meglio fare in questo modo». A dire che così non va bene è anche il consigliere comunale Federico Gorbi. «Giusto rispettare la sensibilità di ciascuno, ma chi rispetta quella di noi cristiani? Oppure la presenza di qualche alunno di religione diversa è solo un comodo paravento di qualche laicista ? – tuona Gorbi in una nota – Se la scelta fosse dovuta alla ormai crescente presenza multietnica e multireligiosa delle nostre scuole, ritengo che tutti abbiano gli stessi diritti: come per mussulmani viene studiato un menù rispettoso delle regole imposte dal Corano, altrettanto chiedo che vi sia la medesima attenzione verso i riti cristiani. Se invece la volontà scaturita dal consiglio di istituto si ispira alla laicità, vorrei sommessamente ricordare che la laicità, come ricorda la Corte costituzionale, è un valore in positivo che non richiede di forzare la vita pubblica in una grigia neutralità».