REDAZIONE PISTOIA

Cesarini, Sivori e Maradona rivivono a teatro

ll popolare giornalista sportivo Federico Buffa sarà al Manzoni mercoledì 20 marzo con "La Milonga del futbol", regia di Iorio

Cesarini, Sivori e Maradona rivivono a teatro

Lo sport, lo sostiene convintamente lui, è l’esperanto del mondo. "Storie vere, che non mentono". E che lui, Federico Buffa, racconta con quella sua capacità narrativa così potente da calamitare l’attenzione anche di chi dal mondo sportivo si dichiara distante. Perché una cosa appare evidente da subito in una qualsiasi traccia di Buffa: prima del campione c’è un uomo, una donna. Volto, ma soprattutto voce arcinota, con un robusto curriculum in Sky, Buffa è anche attore. E sarà al Teatro Manzoni mercoledì 20 marzo (ore 20.45) con "La Milonga del futbol", regia di Pierluigi Iorio e produzione International Music and Arts. Come e perché nasce lo spettacolo?

"Sono un fanatico dell’Argentina, per me il paese più vicino all’Italia. Nella Buenos Aires d’inizio ‘900 un terzo degli abitanti è italiano. Li chiamano ‘tanos’, da ‘napolitanos’. Il mio voleva essere il racconto di questo tempo, prendendo tre campioni del calcio, tre uomini legati l’uno all’altro, tre storie in tre Argentine diverse. Cesarini nato in Italia, a un anno già a Buenos Aires, perfetto figlio di un mondo di migranti di prima generazione che cresce libero. Lui è responsabile della scoperta di Omar Sivori, figlio di italiani, ma nato in Argentina. È un italiano che viene dalla pampa. Sivori è l’uomo che consolerà Maradona dalla sua esclusione dal Mondiale del 1970. In tre fanno dieci scudetti. E dieci scudetti sono tanta roba".

È vero che la storia di Maradona è stata la prima a consacrarla a narratore?

"Era il 2013. Le 9 di mattina, un orario per me proibitivo. Mi mettono in uno studio, a Sky, mi dicono ‘perché non racconti qualcosa?’. Penso all’infanzia di Maradona, improvviso e racconto. Due settimane dopo mi dicono ‘ti ricordi quella cosa fatta in studio? Domani va in onda’. Io nasco baskettaro, per me doveva finir lì. Poi una collega bravissima, Veronica Baldaccini, lanciò una proposta. Era per il Giorno della memoria. La storia era quella di Arpad Weisz, dallo scudetto ad Auschwitz, scritta da Matteo Marani. Era un dovere farlo. Da lì sono rimasto fregato".

Si sta più comodi a teatro o in tv?

"Il teatro è vero, naturale. Si sente il respiro l’uno dell’altro. La tv è lunghissima".

Come si entra in profondità nelle storie degli altri?

"Serve un gran lavoro, di dialogo con le tue fonti, di lettura. Nel caso di Sivori ho potuto parlare con persone che lo conoscevano bene. Dalma, la figlia di Maradona, è stata un mio incontro. Quando ho raccontato Gigi Riva ho parlato con la sorella. Se aspettavi di saper qualcosa da lui…".

La storia più difficile mai raccontata?

"Muhammad Alì".

La più emozionante?

"Il Grande Torino".

Quella che ancora non è andata in porto?

"La celebre frase ‘stay hungry, stay foolish’ che quasi tutti attribuiscono a Steve Jobs era in realtà una citazione. Le parole erano di Steward Brand. Ecco, quella storia lì vorrei raccontare. Gli ho lasciato una lettera sulla sua barca. Chissà…".

L’incontro che l’ha cambiata? "Parlando di teatro, tutti coloro che qui lavorano da decenni. Uno come me vive la sindrome dell’impostore. Non dovrei mica star lì. Non sono preparato. E allora guardo, apprendo quanto più posso da chi ho intorno". Com’è cambiato il ruolo del giornalista sportivo, come l’immagine dello sportivo?

"Una volta per sapere qualcosa dovevi chiedere al giornalista. Ora no. Adesso l’atleta si relaziona al pubblico come vuole. Per questo anche l’approccio del giornalista è cambiato. Se prendi una storia dagli anni ’70 avrai di che raccontare. Ma prendi Sinner. Da quando ha 16 anni sappiamo ogni cosa di lui. Cosa resterà ancora da raccontare quando arriverà a fine carriera?".

Linda Meoni