
Dal sogno di danzare a psicomotricista in un ospedale parigino. È la storia di Alice Tiezzi, aglianese, 39 anni oggi, che dal 2004 vive all’estero e si definisce "viaggiatrice, spirito libero e indipendente". Tra le mete dei suoi viaggi: Iran, Libano, Senegal, Sud America fino a Panama, Cuba, Stati Uniti, il cammino di Santiago, che ricorda come "una grande esperienza". La passione per la danza, iniziò con il famoso coreografo pistoiese Loris Gai? "Ho studiato danza prima alla scuola di Loris Gai e poi a Firenze con il Balletto di Toscana. Per un anno, in Sicilia ho fatto spettacoli con una compagnia di danza. Le collaborazioni con insegnanti e coreografi che lavoravano a Bruxelles contribuirono a farmi maturare l’idea di trasferirmi nella capitale belga, centro importante per la danza contemporanea che all’epoca offriva più possibilità che in Italia di partecipare ad audizioni".
Poi si rese conto che la vita da artista è precaria anche a Bruxelles, è così? "Sì. Decisi di dedicarmi all’insegnamento della danza e scoprii che mi sentivo meglio nel ruolo d’insegnante". E dopo? "Sono curiosa, ho sempre cercato di accrescere le conoscenze nell’ambito del mio lavoro. Lessi un libro sulla psicomotricità e fu per me un’epifania. Mi aveva appassionato al punto che decisi d’iscrivermi all’università. Mentre continuavo a insegnare danza, conseguii la laurea in psicomotricista. Da circa otto anni questa è la mia principale occupazione e mi sono specializzata in Francia e in Italia. Nel 2019 a Parigi per un’opportunità di lavoro come psicomotricista a tempo pieno al Gruppo ospedaliero Paul Guiraud, dove ancora mi occupo di pazienti adulti con patologie psichiatriche. È un settore difficile e delicato. Prima del rapporto con i pazienti c’è da capire come funzionano queste grosse istituzioni, qual è il nostro ruolo e quali sono i nostri compiti specifici, inserirsi nell’equipe. È una sfera della sanità molto particolare. Per lavorare in psichiatria bisogna volerlo e farlo con passione, anche i risultati si giocano sulle capacità di relazione". E poi la sfida di gestire i pazienti psichiatrici nel lockdown. "Siamo riusciti a preservare i pazienti, ci sono stati pochi casi positivi al virus. È stata efficace la prevenzione. Per molti di loro il lockdown è stato un momento di sollievo. Si sono sentiti uguali a tutti gli altri".
Quando è esplosa la pandemia si era da poco trasferita da Bruxelles a Parigi. "Avevo già sperimentato un lockdown a Bruxelles quando, in seguito all’attentato terroristico a Parigi del novembre 2015, cercavano i terroristi a Bruxelles. Per una decina di giorni c’era una situazione surreale, metropolitana e centri commerciali chiusi e l’esercito in città. Poi il 22 marzo 2016 c’è stato l’attentato alla metropolitana di Maelbeek e all’aeroporto a Bruxelles". Aveva paura? "Ha prevalso la volontà di non cedere a paura e pregiudizi. A Bruxelles c’è una grossa comunità musulmana pacifica e integrata. La mattina dell’attentato ero a casa ma ogni pomeriggio prendevo quella linea della metropolitana per andare alla scuola di danza dove insegnavo. Il futuro? Ancora in Francia. Ma a lungo termine penso di tornare in Italia".
Piera Salvi