di Lucia Agati
PISTOIA
In lui c’è qualcosa che lega il fango e la neve. La fatica di chi aiuta e la quiete segreta del deserto. Il desiderio di offrire un futuro a piccole persone indifese e la voglia del silenzio. E della Pace. Negli anni Federico ha sperimentato tutto questo in un cammino che, senza che nemmeno lui se ne accorgesse, lo ha riportato al punto di partenza. Oggi Federico Bonechi è una personalità di rilievo nel vasto e prezioso mondo della protezione civile, ma vive due vite parallele. Nella prima progetta continuamente le forme migliori per sostenere le popolazioni colpite da ogni calamità. Nella seconda ha una grande famiglia a Betlemme, con suor Gesù che lo chiama tutti i giorni e bambini fragili, molto fragili, che lo aspettano, e che lui spera di poter riabbracciare prima possibile. Federico Bonechi è nato a Pistoia l’11 luglio del 1967, il babbo Luciano lavorava alla Breda, da operaio fino all’ufficio produzione. E’ morto nell’aprile del 2012. La mamma, Gabriella, ha cresciuto lui e sua sorella Belinda. Ha due figli grandi che studiano, Angelica e Francesco. Federico è geometra, una professione che gli è stata molto utile.
Qual è il suo ruolo oggi nella protezione civile?
"Rappresento il volontariato della protezione civile della Toscana nel comitato nazionale, a Roma. È un ramo del dipartimento che raccoglie tutte le realtà e ha chiamato i rappresentanti di tutte le regioni. Ne fanno parte anche gli esponenti delle grandi associazioni nazionali. Tutte anime che collaborano all’interno del dipartimento e sempre: dalla quiete al disastro. Operiamo quindi con il dipartimento e per il volontariato organizzato. Sono al secondo mandato di una carica che nasce nel 2018, con l’articolo del Codice della Protezione Civile che ha previsto la partecipazione delle rappresentanze del volontariato".
Quando è iniziato il suo cammino nel volontariato?
"Nel settembre del 1984, prima alla Croce Verde e poi alla Misericordia. Una profonda passione per me, nata alla scuola di due grandi persone come Piero Paolini e Giorgio Patrizio Nannini e sostenuta anche dal mio lavoro. Essere un geometra ha sempre significato per me avere un occhio di riguardo alla sicurezza. Ho partecipato quindi a tutto il percorso che poi mi ha portato a Roma".
Alla luce del recente disastro alluvionale che ha colpito le nostre zone, quale aspetto potrebbe essere migliorato?
"La protezione civile italiana è la migliore al mondo, non è un corpo, ma una grande forza che affiora. Ma su un aspetto possiamo ancora migliorare: smettere di dare colpe e fare. Chi oggi si sporca le mani e domani sarà il politico di turno, se ne ricorderà".
Ma ci sono altre circostanze che hanno cambiato la sua vita vero?
"Era il 2011 quando la Misericordia accolse la proposta della Fondazione Giovanni Paolo Il di Fiesole di avviare una attività a Betlemme, acquistando un immobile che diventasse una casa per i cristiani. Sono stato il primo a buttarmi in quella impresa come geometra. Ma poi siamo andati oltre. Il 2011 è stato per me l’anno della folgorazione".
Ce la racconta?
"Era maggio. Ero a Roma ed era in corso la beatificazione di Giovanni Paolo Il. Non stavo bene. Tornai a casa e due giorni dopo ero in rianimazione, per una setticemia. La causa fu l’infezione di un calcolo renale. Il primario, Leandro Barontini, quando uscii dal reparto mi disse :”Ricordati che pochi se la cavano in casi come il tuo”. Fu in quei giorni che mi resi conto che c’è qualcosa che sfugge a tutti".
E Betlemme è diventata la sua seconda casa...
"A novembre, sfidando ogni parere medico sono ripartito per Betlemme. C’era da fare il sopralluogo per la ristrutturazione della casa. Da allora sono stato là diciotto volte. Ho carissimi amici là, e bambini, che seguo. Ora, come è facile immaginare, la casa è sospesa nel nulla e allora ho creato l’associazione di promozione sociale “Il Viaggio” per favorire la conoscenza della Terra Santa attraverso attività culturali e pellegrinaggi. Aiutiamo i bambini e chi ha bisogno con tutte le difficoltà di questo momento".
L’ultima volta che è stato a Betlemme?
"Nel luglio del 2022. Mi sono trovato in tutte le situazioni e la tensione è sempre palpabile. Hai due possibilità di scelta: o ti impaurisci, e non ci torni più, oppure torni comunque. E quando tocchi Gerusalemme, Nazareth, Betlemme ti rendi conto che c’è qualcosa. Qualcosa che ti cambia. Amo un passo di Fiamma Nirenstein “Gerusalemme fa girare la testa di chiunque, nella trimillenaria santità e nella permanente elettricità del conflitto“".
Dove sono ora i bimbi di cui si è preso cura negli anni?
"A Hogar Ninos Dios, la casa di accoglienza per bambini abbandonati. Li sento spesso. Mi fanno le videochiamate. Vorrei fare tanto di più per loro, vorrei stare là con loro. La Terra Santa mi rigenera".
Cosa voleva fare da bambino?
"La prima volta che ho visto Betlemme mi sono affacciato alla finestra nella notte e ho visto una distesa di lucine e ho detto: ecco il presepe, il presepe come lo facevo da bambino. La mamma spargeva la farina per fare la neve. Negli anni, mi sono sempre chiesto se mai ci fosse stata davvero, la neve, a Betlemme. Quella notte ho visto i monti intorno alla città e mi fu detto che nevicava anche lì, eccome se ne nevicava. Allora quella farina aveva un suo perchè...Da bambino avrei voluto fare il poliziotto, il vigile del fuoco, l’astronauta. Ma quella notte ho compreso che era esattamente lì che volevo essere. Nel mio presepe".