Pistoia, 6 agosto 2018 - Si sente solo don Biancalani. Di quella solitudine che Cristo ha conosciuto bene, dice. Solo e abbandonato dai suoi, da quel mondo ecclesiastico di cui oggi sperimenta l’assenza. È lui stesso a spiegarlo, durante l’omelia di una domenica mattina quanto mai calda e deserta. Nella chiesa di Vicofaro, molti banchi vuoti. Colpa dell’afa, certo. Ma c’è di più.
È un’aria pesante quella che si respira. Non manca il coraggio di andare avanti, dopo le intimidazioni subite, chiarisce il parroco. «Voglio rassicurare tutti – dice con voce ferma – perché quello che è accaduto giovedì sera è, per quanto ne sappiamo, il gesto di qualche balordo, qualcuno che ha sparato a salve e che non è legato a gruppi estremisti». Una goliardata, la chiama don Massimo, senza voler sminuire la gravità del gesto, spiega: «perché proprio questo aspetto dimostra che il messaggio (quel messaggio xenofobo contro cui ha sempre combattuto) è arrivato fino alla base della società, è penetrato in profondità».
Appena un anno fa, il parroco dei migranti (sono cento quelli ospitati nelle sue parrocchie, dentro o fuori progetto) dichiarava guerra «ai razzisti e ai fascisti», postando sui social i sorrisi dei suoi ragazzi immortalati in costume da bagno in un pomeriggio in piscina. Oggi, dopo gli attacchi (anche personali), le minacce e persino gli spari, don Biancalani non ha alcuna intenzione di lasciare la sua missione, ma si sente abbandonato dalla sua chiesa. «La solitudine di Gesù è quella che talvolta sperimentiamo anche noi – dice durante l’omelia –. E’ l’assenza o la lontananza della comunità ecclesiale, di cui non capisco i motivi. Qui ci sono cento ragazzi che avrebbero bisogno di incontrare altre persone, di condividere le loro storie.
Fa soffrire l’indifferenza della chiesa. La vicinanza ci giunge invece dal mondo dei ‘lontani dalla chiesa’: uomini e donne che si definiscono laici. Quello che vorrei far capire è che domani non saremo giudicati per le messe domenicali alle quali abbiamo partecipato ma per la cura che abbiamo avuto degli uomini. Quando la sera ci bussano alla porta chiedendoci un posto dove poter dormire, noi ci assumiamo dei rischi, certo, ma tenere le porte aperte è l’esperienza della nostra umanità che si realizza. Quando alziamo i muri, siamo noi stessi che moriamo».
«Abbiamo iniziato questa accoglienza rispondendo all’appello di Papa Francesco nel 2015 – chiarisce don Biancalani – ma è un appello che ci viene da lontano, dal Vangelo, ed è una richiesta a cui nessun cristiano può sottrarsi, perché non è opzionale».