LUCIA AGATI
Cronaca

"Ecco, arriva il dottorino con la Morgan" Carlo Affinati, storia di un medico condotto

Fu il più giovane d’Italia nel 1976. Per più di trent’anni, ogni giorno, ha percorso le vallate da un paese all’altro. Una vita piena di ricordi

di Lucia Agati

Due settimane fa ha trascorso la notte sulle sponde del lago Scaffaiolo. Chiuso dentro il sacco a pelo e rannicchiato sotto una tendina. Solo. Nello splendore di una notte di novembre. Tutto per scattare una foto, all’alba. Perché sapeva che sarebbe nevicato. Sono tante le passioni di Carlo Affinati, medico condotto da Pistoia a Prunetta per trentaquattro anni, in pensione da sei. La medicina, certo, e la chirurgia. Ha visto le mani di Gaetano Azzolina operare a cuore aperto. Il volo. La musica. Il canto. Ma la Montagna esercita su di lui un fascino magnetico. Lo attira da sempre, invitandolo a vincere le sue paure. E anche una nottata in riva a un incantevole lago di montagna aspettando il giorno, è una piccola paura da guardare, perché al primo chiarore si dissolverà e resterà soltanto una fotografia.

Come è cominciata la sua avventura?

"Sono nato il 5 gennaio del 1951. La mamma era di Montecatini, il babbo ciociaro. Lavorava all’Enaoli. Ci siamo spostati più volte prima di stabilirsi a Montecatini. Ho vissuto anche in Sardegna. Non ho mai chiesto una lira in casa e a 14 anni facevo già il cameriere al San Marco. Guadagnavo bene. Gli stipendi erano alti in quegli anni. Ho servito anche Sergio Mattarella, oggi nostro Presidente. Veniva con tutta la famiglia, compreso il fratello Piersanti. Mangiavano nel rango che servivo io".

E la medicina?

"Mi sono laureato a 25 anni. E sei mesi dopo ero il medico condotto più giovane d’Italia. Andò in pensione il dottor Geri. Io facevo già le guardie a Montecatini. Mi chiesero se volevo fare un mese di sostituzione. Ero in attesa della chiamata per il militare, che poi non ho fatto perché mia moglie era incinta di sette mesi, allora il capofamiglia veniva esentato".

Come fu l’esordio da dottore?

"I primi tempi furono terribili. Non c’era il 118, né la guardia medica. C’ero soltanto io. E non c’erano i cellulari. I pazienti mi chiamavano nel bar dell’albergo di Cireglio dove mi ero stabilito. Il proprietario, Lido, mi ha aiutato tantissimo. A volte veniva con me in macchina, mi accompagnava quando non conoscevo i posti. Quaranta anni fa erano tante le strade non asfaltate. Per un anno e sette mesi non ho fatto un solo giorno di riposo. Era l’estate del 1976".

I ricordi sono tanti vero?

"Sono tanti, e preziosi. E i volti innumerevoli. Negli anni ‘90 avevo fatto un filmato. Lo avevo intitolato “Le vecchiacce di Pupigliana”. Le avevo intervistate nelle loro case. Ognuna mi aveva raccontato qualcosa di sé, seduta in salotto, o in cucina. Ho messo via quel video. E una sera di dieci anni dopo, quando ormai non c’erano più, ci siamo riuniti tutti a Pupigliana e ho fatto rivedere quel filmato ai paesani. Si sono messi tutti a piangere".

Cosa voleva dire essere un medico condotto?

"Era una dimensione unica. Che non tornerà mai più perché oggi la buracrazia uccide la professione del medico di famiglia. E pensare che io mi spostavo casa per casa e in alcune frazioni facevo tappa nelle abitazioni per fare ambulatorio. Vito Casseri, per esempio, mi ha ospitato per trent’anni. In 34 anni ho fatto centomila visite a domicilio. Le ho tutte nelle mie agende. E le rifarei tutte. Oggi svolgo ancora la professione, sono ancora assicurato e ho la partita Iva".

Come si spostava da un paese all’altro?

"Mi spostavo con la Morgan. La mia prima macchina. Pagata due milioni di lire. La più bella d’Italia. Mi avevano dato diversi soprannomi. Uno era Valdoni, in omaggio a un pioniere perchè facevo anche piccoli interventi, come ricucire le ferite. L’altro era “il dottorino con la Morgan”. Capitava che durante il mio giro mi ritrovassi dietro l’autobus che riportava gli studenti a casa. Venivano tutti in fondo, al vetro, per salutarmi con la mano".

Un rimpianto?

"Che non sia stato fatto niente per ricordare la maestra delle elementari delle Piastre, Daniela Begliomini che ho curato per dieci anni, venti anni fa. Aveva una grave malattia. Ha sofferto tanto e non rimane traccia di lei, aveva dedicato tutta la sua vita all’insegnamento ed era una delle persone più buone che abbia mai conosciuto. E’ morta a 39 anni".

Lei ha scalato tre volte il Cervino...

"Sì, la prima volta a 41 anni, la seconda a 60 e la terza a 65. E’ la montagna più bella del mondo. Per il Cervino mi sono allenato per un anno, correndo di notte, dall’Abetone al Cimone. Mi portavo una piccola tenda per riposare. Quando ho scalato il Cervino per la terza volta mi sono portato dietro una targhetta con una dedica per mia moglie Manola. Siamo sposati dal 1974. L’ho messa dove c’erano i lucchetti. C’è scritto “Il tuo tempo è stata la mia eternità“".

E ha anche volato...

"Con il parapendio. Trent’anni fa sono precipitato da trecento metri, sotto gli occhi di mia moglie. La vela si è chiusa (per colpa mia) e si è riaperta a ottanta metri da terra. Avevo tre secondi di vita. E’ un evento che ha diviso la mia vita in due. Il prima e dopo quella caduta. Mi sono sentito rinato. Ho tante cose da ricordare perchè non ho mai perso un secondo della mia vita".