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Fallimento della Defi Il riesame ha ridotto il sequestro preventivo

Il crac dell’azienda storica di biancheria di lusso risale al 2018: cinquanta lavoratori erano finiti in mobilità. Ora il Tribunale ha rivisto i beni congelati ai titolari della ditta: da due milioni e mezzo a 400mila euro.

Da due milioni e mezzo di euro a circa 400mila, è la decisione del tribunale del riesame sul sequestro preventivo effettuato nei confronti dei titolari della Defi, azienda storica di biancheria di lusso con sede a Casalguidi, fallita nel 2018. Il giudice, in questo caso, ha accolto le richieste della difesa portando il sequestro al solo ammontare delle presunte imposte non pagate dalla società. "Il procedimento penale in corso proseguirà facendo il suo corso - spiega il difensore dell’ex amministratore dell’azienda Federico Pratesi, Mauro Gallo - La novità di queste ore è che sono state accolte parte delle nostre richieste e quindi presumibilmente, una volta che sarà autorizzata la procedura l’ammontare dei beni sequestrati sarà aggiornato". Il caso Defi è scoppiato la scorsa estate a seguito di una corposa indagine, tra l’altro ancora in corso, della Guardia di Finanza di Pistoia. Mancato pagamento di tasse e imposte, bancarotta fraudolenta e autoriciclaggio di denaro per diverse centinaia di migliaia di euro. Queste sono state le accuse mosse a tre persone collegate all’azienda. Le fiamme gialle ad agosto avevano eseguito un provvedimento di sequestro preventivo, emesso dal Gip del Tribunale di Pistoia su richiesta della Procura. I sequestri dei beni sono avvenuti tra le province di Milano e Verbania, rispettivamente Lombardia e Piemonte. Nel dettaglio sono scattati i sigilli su nove abitazioni, dieci autorimesse, tre magazzini ed un terreno, nonché auto aziendali, quote societarie e sette conti correnti bancari. L’elenco, dopo la decisione del tribunale del riesame sarà ovviamente aggiornato e quantificato sulla cifra decisa.

Il fallimento della Defi, che produceva i prodotti per la casa a marchio Pratesi, aveva scosso la comunità di Casalguidi nell’estate 2018. Cinquanta lavoratori erano finiti in mobilità e, per garantire loro un futuro, si era attivata anche la Regione Toscana. Secondo le accuse della Guardia di Finanza, "gli amministratori di diritto dell’azienda avrebbero depauperato il patrimonio omettendo di riscuotere consistenti crediti societari ed effettuando ingenti forniture di merce, senza però ricevere il corrispettivo economico". La Guardia di Finanza avrebbe verificato che il traffico di merce e denaro coinvolgeva anche imprese con sede in Gran Bretagna e negli Usa. L’intento di questa serie di operazioni, sempre secondo le Fiamme Gialle, sarebbe stato quello di rendere infruttuose le procedure di riscossione forzata delle imposte non versate dall’azienda. Secondo l’accusa, sarebbero state centinaia di migliaia di euro nell’arco di sette anni, dal 2009 al 2016.

Michela Monti