
Diverse frane in provincia di Pistoia
Pistoia, 18 marzo 2025 – L’allarme è diventato di quelli assordanti: il territorio si sbriciola. Lo dicono gli eventi di questi giorni, solo gli ultimi in ordine di tempo a raccontare un fenomeno cui tocca evidentemente abituarsi. Una cosa va chiarita prima di ogni possibile ragionamento. E cioè che una cura che possa associarsi a una guarigione definitiva realmente non c’è. Insomma, siamo questi, noi come tutto il Paese, da sempre tra i più esposti al rischio idrogeologico. Nessun terrorismo nelle parole di Lorenzo Vagaggini, dottore Forestale e dottore in Storia nonché presidente dell’Ordine dei dottori agronomi e dottori forestali della provincia di Pistoia, semmai un’analisi sincera e competente tra reale e possibile.
“Il territorio non è né sano né malato, siamo noi che ci troviamo nel bel mezzo di una trasformazione profonda. Quel che accade oggi con le frane accadeva anche cento anni fa – fa notare Vagaggini – con la differenza che allora l’80% della popolazione viveva in aree montane e rurali, le lavorava, se ne prendeva cura. In poche parole: funzionava da presidio del territorio. È impensabile oggi sostituire quella grande leva con la sola forza pubblica. Secondo aspetto, l’ormai assodata realtà del cambiamento climatico, con la conseguenza che i fenomeni estremi sono più frequenti. Collegato a quell’abbandono di cui sopra, c’è poi la questione della ricolonizzazione da parte del bosco di aree prima agricole. Andata altrove la popolazione, il bosco si è appropriato delle terre. Risultato, siamo più esposti ai dissesti”.
Qualche azione da mettere in campo ancora c’è, ma serve convinzione, così come molto probabilmente serve fare in fretta. “Occorre incentivare e aiutare le aziende agricole e forestali a presidiare il territorio – prosegue Vagaggini -. Serve poi che i Consorzi di bonifica e il Genio Civile come anche le Unioni dei Comuni ciascuno per le proprie competenze lavorino ancora di più investendo nella manutenzione e nella gestione del reticolo idrografico. La sensibilità sul tema da parte di questi soggetti è aumentata, ma serve fare ulteriori passi in avanti. Ricordiamo inoltre che la salvaguardia dal punto di vista idrogeologico in pianura è un fatto assolutamente necessario ma non bastevole: serve lavorare anche in montagna dove esiste un patrimonio enorme e diffusissimo di briglie, di muri a retta, di fossi che hanno bisogno di essere riportati alla loro funzionalità. No all’abbandono dei boschi, tra le principali cause delle frane, insieme alla natura del suolo. E qui emerge il nodo: non si contano le ordinanze di taglio emesse dai Comuni, il problema è farle rispettare. Perché non si sa a chi appartengono i terreni, perché molti privati non si assumono la responsabilità della cura”.
Capitolo piana e relative criticità: ma quanto c’entra, chiediamo a Vagaggini, la “cementificazione selvaggia” con gli allagamenti? “Premessa: le nostre sono pianure alluvionali – chiarisce -. Poi è chiaro che esistono anche criticità indotte da scelte politiche e tecniche. Fino a venti, trent’anni fa non esistevano i modelli idraulici e predittivi che esistono oggi. Questo significa che non si potevano allora conoscere i rischi del costruire in un’area anziché in un’altra. Oggi dobbiamo entrare in un’ottica precisa, quella secondo cui si impara a convivere col rischio e lo si mitiga. Cancellarlo è impossibile. Volenti o nolenti la dovremo imparare questa lezione, perché sarà sempre più così. Non è un caso che sia stato disposto l’obbligo assicurativo per catastrofi a tutte le attività produttive”.
linda meoni