DAVIDE COSTA
Cronaca

Giampiero, il signore delle nevi. Ottant’anni vissuti al massimo. La grande avventura di Danti

Oggi è il compleanno di uno degli ultimi protagonisti di primo piano della nostra montagna. A cuore aperto con l’allievo di Chierroni e Zeno Colò che batte ancora le piste con il ’gatto’.

Oggi è il compleanno di uno degli ultimi protagonisti di primo piano della nostra montagna. A cuore aperto con l’allievo di Chierroni e Zeno Colò che batte ancora le piste con il ’gatto’.

Oggi è il compleanno di uno degli ultimi protagonisti di primo piano della nostra montagna. A cuore aperto con l’allievo di Chierroni e Zeno Colò che batte ancora le piste con il ’gatto’.

di Davide Costa

ABETONE

"Se mi sento ottant’anni? Nemmeno per sogno". Ride Giampiero Danti, seduto al tavolo in un angolo del rifugio dell’Ovovia. Il suo regno. E’ un ordinario pomeriggio d’inverno: l’assalto dell’ora di pranzo degli sciatori è alle spalle e c’è il tempo per una chiacchierata. Di più: un viaggio nei ricordi di uno degli ultimi grandi protagonisti della nostra montagna.

Montanino doc. La carta d’identità, però, alla voce luogo di nascita reca la scritta Bagni di Lucca...

"Per forza, c’era la guerra. Il fronte si era attestato proprio in queste zone e i miei genitori decisero che era meglio spostarsi verso la Lucchesia, da dove tornammo una volta finita la guerra, nell’estate del 1945".

Una famiglia numerosa per gli standard di adesso.

"Sì, ma allora era la normalità. Eravamo in sei in casa: babbo Pietro, mamma Elena e i fratelli Giulio, Valerio, Corrado e Damita".

Della famiglia era il fratello buono o quello che faceva disperare i genitori?

"Buono? (sorride). Prendevo continuamente un sacco di scapaccioni".

Come mai?

"In toscano si direbbe troppi moccoli…"

La famiglia è originaria di Pian di Novello. Che lavoro facevano i suoi genitori?

"Avevano una bottega di generi alimentari e il forno. Rifornivamo il paese e le zone vicine. I pastori risalivano coi muli dalla Lucchesia carichi di funghi e tornavano a casa col pane. Io facevo il garzone e portavo le spese alle famiglie".

La passione per lo sci quando iniziò?

"A otto anni. Sci di legno costruiti dal babbo e via: ci si buttava giù da ogni pendio disponibile. Poi entrammo a far parte dello Sci Club Abetone con un allenatore d’eccellenza: Vittorio Chierroni".

Fin da subito dimostrò talento…

"Andavo benino e per questo iniziai ad allenarmi con Zeno Colò".

Come nacque l’amicizia col grande campione abetonese? "Fu per colpa di un grave incidente che mi capitò in allenamento a 14 anni. Rischiai una lesione spinale e questo mi costrinse fermo per mesi. Era stato proprio Zeno a soccorrermi, rimanendo sconvolto. Da allora diventammo inseparabili e quando nel 1979 decise di farsi indietro dalla Saf fui considerato il suo erede naturale".

Facciamo un passo indietro. Quando ha conosciuto Giancarla Ceccarelli, la donna che poi sarebbe diventata sua moglie?

"Nel 1960 insieme ai miei fratelli Valerio e Corrado costruimmo una casa di famiglia a Cutigliano. Avevo 15 anni, facevo il manovale e incontrai Giancarla, che abitava lì vicino. Cinque anni dopo, il 20 novembre 1965, ci sposammo. Se la nostra azienda è quella che è adesso, gran parte del merito va a lei".

Come nasce la sua avventura imprenditoriale?

"Nel 1965 avevo aperto la mia azienda di commercializzazione dei prodotti del sottobosco e lavoravo quasi esclusivamente col prodotto locale. Poi intorno al 1970 iniziai a importare funghi e mirtilli dall’Europa dell’est. E da allora non ho mai smesso". Il 5 dicembre 1967 nasce Fabio.

"Un ragazzo meraviglioso, appassionato di motori fin da giovane. Quando ha iniziato a correre la sua stoffa è diventata evidente a tutti. Un campione vero, soprattutto nelle corse in salita. Poi, smessi i panni del pilota, dava il suo contributo in azienda, grazie alla sua visione innovativa e moderna. Se n’è andato così. All’improvviso".

Se la sente di raccontare quel momento?

"Era il 3 giugno del 2000. Mi trovavo in piazza all’Abetone, quando ricevetti la chiamata di Sergio (Ceccarelli) che si trovava con lui a Caprino Veronese per una gara. Mi disse che Fabio aveva avuto un grave incidente e che bisognava partissi. Capii subito cos’era successo. Queste sono le tristezze della vita: non le accetti mai, ma fanno parte di noi".

L’altra figlia, Elena, lavora con lei in azienda e da poco l’ha fatta diventare nonno…

"Elena è bravissima, una persona responsabile della quale sono orgogliosissimo. Con una carriera scolastica straordinaria, sta dando un grande contributo all’azienda. E il 5 novembre mi ha reso nonno, con la piccola Sofia".

Ottant’anni non è un traguardo banale. Ha qualche raccomandazione per la ‘sua’ montagna?

"Vorrei che le persone che abitano questo territorio tornassero a prendere in mano il loro destino. Manca uno spirito imprenditoriale, senza il quale difficilmente riusciremo ad andare avanti. E poi mi piacerebbe che la Società Abetone Funivie restasse in mano agli abetonesi: è una cosa che devo alla memoria di Zeno Colò". Poi si interrompe: "Adesso bisogna che scappi, mi dispiace. Mi attende il gatto delle nevi, devo andare a battere le piste". Si alza, sorride, stringe la mano e sgattaiola via come un gatto. Delle nevi. Tanti auguri, Giampiero.