
"Ho cominciato con una scatola da scarpe E con quella ho fotografato il Battistero"
di Lucia Agati
C’è chi sostiene che la ricerca della felicità sia un dovere verso se stessi, ma quale possa essere la via soltanto il cuore lo sa, ed è una consapevolezza che si manifesta in un momento preciso. Così è accaduto a Samuele, che un giorno ha capito che la felicità sarebbe arrivata soltanto con la fotografia. Il suo è un percorso straordinario che lo ha portato a essere un punto di riferimento mondiale nella realizzazione artigianale di macchine fotografiche. Le crea e le assembla in un laboratorio che sembra uscito da una fiaba, così come il paesino che lo accoglie, Le Pozze, dominato dallo splendore della Pieve di Valdibure, immerso nella pace, dove tutti si conoscono e si salutano. Le sue macchine fotografiche nascono nella piccola falegnameria che fu del suo nonno Sabatino Percussi, dove non ha toccato niente, dove tutte le pialle sono al loro posto, in perfetto ordine, e dove gli appunti con le misure e gli ordini sono ancora ben leggibili sul muro. Da quelle stanzette in pietra Samuele Piccoli spedisce banchi ottici in tutto il mondo. E questa è la sua storia.
"Ho studiato all’Iti. Nel 1998 ho fatto il militare come obiettore di coscienza alla Camposampiero, a cinquemila lire al giorno. Seguivo due ragazzi delle medie al doposcuola. E ci sono rimasto anche alla fine del servizio, come volontario. Nel 2003 sono entrato in Breda, alla programmazione di commessa: farsi dare le date di previsione di consegna dei treni era un’impresa. Era l’epoca in cui i dirigenti storici dello stabilimento stavano andando in pensione. I tempi della gestione Moretti.
"Mi sono dimesso il giorno prima che diventasse Hitachi. Ci sono voluti due anni per prendere quella decisione, difficile da digerire per i miei genitori, che avevano vissuto gli anni Settanta: per loro l’importante era lavorare, per poi costruire tutto quello che serviva. Ma io volevo essere felice. E non volevo morire metalmeccanico. Mi sono ascoltato. Il filo conduttore è stato la mia passione per la fotografia. Ho iniziato con la Zenith 122, che ho ancora.
"Poi ho scoperto che potevo fare le foto con una scatola da scarpe, con dentro un foglio di carta da stampa, un buco con un pezzo di carta stagnola, un foro con un ago e l’otturatore con lo scotch. Andai in bici in piazza del Duomo, con la scatola sul cestello. Scattai verso il Battistero, poi aspettai un quarto d’ora. C’era la foto. Continuai con le macchine in legno, per usare i rullini. Scrivevo tutto sul mio blog. Mi chiamò una ditta di Roma, e mi chiese le macchine. Fu così che nacque la mia prima linea di produzione, la Stenopeika, che significa foro stretto. La Ars Imago di Roma mi disse di provare a fare il banco ottico, le macchine a soffietto. Me ne presero dieci. Ed ecco, c’era il mio secondo lavoro. Era il 2013. Due anni dopo presi il coraggio a due mani e firmai le dimissioni.
"Certo non siamo più negli anni Settanta, e ho fatto fatica a capirlo. Non basta avere il prodotto, da qui l’importanza dei social. E’ così che oggi le mie macchine vanno in tutto al mondo, soprattutto negli Usa. Per gli americani queste macchine sono un pregio, un divertimento, e per loro è incredibile che, in Italia, ci sia un artigiano come me. Poi le richieste arrivano dalla Francia, dai Paesi Bassi, dalla Germania, dall’Inghilterra, dalla Spagna e dal Portogallo. Qualcosa anche dall’Italia. Il banco ottico è stato il mio secondo passo: è una macchina con elementi mobili, si spostano per mettere a fuoco e recuperare prospettiva, indipendentemente dalla chiusura del diaframma. Macchine ideali per i paesaggi e l’architettura. Si può scegliere la profondità indipendentemente dall’obiettivo. Per esperti, e appassionati. E per fare i miei paesaggi, mi metto in viaggio con il mio piccolo camper".