di Lucia Agati
Il suo regno è a un passo dalla cucina, dove il trono spetta a una vecchia edizione dell’Artusi, aperto ogni giorno su una pagina diversa. Ma lei ci butta giusto un’occhiata perchè anche tra le pentole è una continua invenzione, un inesauribile architettare di varianti. Un passo e c’è uno studio con due scrivanie, una per sè e una per il marito Giuseppe Scalise, storico medico di famiglia di Quarrata. Per lei un computer portatile che custodisce tutto il suo lavoro, per lui una miriade di scatoline. Dentro ci sono treni da collezione. Un paradiso per gli appassionati. Si scendono pochi scalini e nella minuscola cantina a volta c’è un plastico con un trenino che attraversa tutta Pistoia. I fondali li ha dipinti l’artista Andrea Dami, amico di famiglia come tanti altri protagonisti della vita culturale di Pistoia. Eccolo dunque il reame di una giallista, dove le storie e i personaggi prendono forma. Qui Laura Vignali, nata a Pistoia il 24 gennaio del 1957, dà vita ai protagonisti dei suoi libri (sessanta pubblicazioni tra romanzi e racconti "e senza spendere un euro"), ispirandosi ai ricordi, ai luoghi che ha visto, a chi ha attraversato la sua vita anche per un attimo e che si trasforma, e si materializza, dentro le sue pagine. Poche sere fa ha saputo di aver vinto il primo premio del concorso nazionale “in Cento Righe“ che vede tra i giurati lo scrittore Marco Vichi. Ha partecipato con un raccontino che si intitola “Soffitte condominiali“. Un gioiellino misterioso, surreale e ironico. Che giustamente ha vinto.
Da quanto tempo scrive?
"Ho sempre scritto, e letto, in modo compulsivo, fino a otto libri al mese. Divoravo un capitolo dietro l’altro. Il primo giallo l’ho scritto al liceo classico Forteguerri e l’ho stampato in ciclostile per tutti. Era una storia calibrata su tutti i professori, Gaiffi compreso. Una piccola opera goliardica. Ebbe un successo incredibile e che, in qualche modo, ha un riflesso che mi raggiunge fino a oggi perchè in previsione della giornata di celebrazione che sarà dedicata agli ex del Forteguerri ci sarà un dialogo tra l’avvocato, e scrittore, Andrea Mitresi e me. Una iniziativa che mi entusiasma".
Quando ha capito di essere sulla strada giusta?
"La svolta ci fu nel 2007 con “Il treno fischiava ancora“ che mi fu presentato da Giovanni Capecchi. La cosa cominciò a funzionare. Scrivevo romanzi e testi teatrali per le scuole. Un successo inatteso, più recentemente, mi è piovuto addosso con “Il supplente“ scritto di getto e che mi ha dato tante soddisfazioni. Ho raccontato la mia generazione e ho dato la possibilità a tanti di ritrovarsi, di sentirsi raccontati. Passo per giallista, lo so, ma io scrivo storie di vita. E il finale è sempre a sorpresa".
Chi l’ha incoraggiata?
"Nel 2008 ho presentato il mio primo racconto a un concorso e ho vinto il Premio Europa per la narrativa gialla e noir al femminile. Si intitolava “L’ultima sfida nel Far West padano“. Una storia di cavallerizzi bambini, mi ha aperto la strada anche grazie a Giuseppe Previti e agli Amici del Giallo. Ho profonda gratitutine per il mio editore Mario Papalini, Effigi, di Arcidosso, che è uno storico dell’Arte e che ha creduto in me".
Un momento di particolare intensità?
"Per il Giorno della Memoria ho portato al Bolognini “Il cappotto del babbo“, nato dalla storia che Carla e Luciana, le figlie del maresciallo Pecorini di Quarrata, che fu internato militare in un campo nazista, hanno raccontato. Tornò con lo stesso cappotto con cui era partito e dentro, scritto con un mozzicone di matita, ritrovarono poi il suo diario".
Qualche altra storia?
"In “Delitto sui binari ai tempi del Granduca“ ho ambientato il mio romamzo durante la costruzione della Porrettana e tutte le tavole sono state disegnate da Andrea Dami. In “Lucciole e grilli alla Camposampiero“ con Pierluigi Pardini ho iniziato la trilogia dedicata a don Bruno Lancia, prete investigatore in cui tanti hanno riconosciuto don Bruno Spadi, un prete molto amato a Pistoia".
Lei ha insegnato per molti anni, come vede i giovani?
"Ho insegnato lettere per quarant’anni, sono stata al Capitini di Agliana, otto anni di precariato e poi il Pacini. Oggi sono vicepresidente della onlus “Noi del Pacini“. Dei giovani si parla poco e male, invece sono straordinari. Devono essere ascoltati e bisogna servirsi anche dei loro mezzi, per questo mi sono adeguata. Ho studiato con il professor Michele Ranchetti, studioso di Don Milani. A fine anni ’70 organizzò un convegno con tutti quelli che lo avevano conosciuto. Una esperienza indimenticabile. Abbiamo fatto un grosso lavoro con la banca del tempo al Pacini, con esperimenti straordinari di inclusione con i ragazzi stranieri dove ognuno portava il proprio patrimonio culturale da scambiare con gli altri. E’ durato sei anni, poi c’è stata l’emergenza sanitaria ed è iniziato il tormento della dad".
Cosa fa ora che è in pensione?
"Ora posso dedicarmi a tutte le cose che mi interessano, oltre la scrittura. Al volontariato, per esempio. Ho cominciato a San Martino de Porres, con il doposcuola per i ragazzi stranieri. E voglio tornare a rifrequentare i miei amici e tutte le persone a cui voglio bene. Voglio la casa piena di gente".