
Sulla via Romana sono arrivati subito i soccorsi
Pescia (Pistoia), 7 luglio 2022 - Lo ricorda come un bambino inquieto Don Stefano Salucci, il parroco della chiesa di Castellare di Pescia che era in contatto con la famiglia Chiavacci, quando prova a descrivere la complessa personalità di Alessandro, il giovane che ha perso la vita con il padre Paolo nel terribile incidente avvenuto sulla via Romana lunedì. Poche visite e niente prima comunione come invece la maggior parte dei suoi coetanei faceva quando aveva 10 anni. Anche don Stefano ricorda i Chiavacci come una famiglia con particolari fragilità umane, mai colmate nemmeno dalla comunità o dalla società. «Mi ricordo bene questo bambino – racconta don Stefano – a suo tempo più volte avevo provato a parlare con la mamma tentando invano di invitarla a venire a frequentare la parrocchia. Tuttavia on siamo mai riusciti a trovare un codice comunicativo che comportasse un dialogo aperto. Ho tentato ma con scarso successo". Il ritratto che giorno dopo giorno ne deriva è quello di una famiglia chiusa in se stessa, nel proprio piccolo mondo fatto di poche certezze e, forse, tanta solitudine.
«Ho fatto più tentativi – prosegue il prete – quando il bambino aveva circa 10 anni ed era in età da prima comunione, sacramento che poi non ha mai ricevuto. Se non ricordo male c’erano state delle questioni tra la famiglia e il catechista. Credo che avessero discusso e Alessandro non è più venuto a frequentare la dottrina. Sono molto affranto per non essere riuscito a trovare un dialogo con loro. Tuttavia credo che non sia giusto obbligare o tentar di convincere qualcuno, quindi dopo diversi tentativi ho lasciato loro liberi di allontanarsi se era quello che volevano". Il parroco inoltre conferma le condizioni al limite della precarietà in cui la famiglia Chiavacci viveva da sempre, malgrado Luana e suo marito lavorassero regolarmente.
«L’impressione è che fossero persone un po’ isolate, che vivessero in modo isolato dal resto della comunità. Ormai andavo da loro solo per la benedizione delle famiglie, ma anche la casa era comunque ubicata in un luogo più appartato rispetto ai vicini e da fuori sembrava quasi disabitata". In questo clima di disagio e fragilità umana si innesca tuttavia la domanda sulla concessione della patente a Alessandro. "Nessuno di noi – commenta il parroco – comprende come sia stato possibile dare la patente al ragazzo quando si era a conoscenza che fosse sotto terapia farmacologica e avesse comunque dei problemi comportamentali che spesso venivano alla luce, quando per un diabetico, per fare un esempio, ci sono tanti controlli ed è sempre a rischio di non avere il rinnovo. Credo a questo punto che il problema sia nella differenziazione delle competenze per il rilascio della patente. Se uno non dichiara di seguire una terapia o, per assurdo, di aver bisogno degli occhiali da vista, poi le patenti vengono rilasciate comunque".