LINDA MEONI
Cronaca

Le parole di Hurbinek. La rassegna si chiude con lo sguardo all’oggi

"Come siamo arrivati fin qui?", ultimo incontro del ciclo dedicato alla Memoria. Tra i protagonisti sul palco Paola Caridi, Stefano Levi Della Torre e Gad Lerner. "Una strage ’più piccola’ non è legittima". "La tregua in Palestrina è fragile".

"Come siamo arrivati fin qui?", ultimo incontro del ciclo dedicato alla Memoria. Tra i protagonisti sul palco Paola Caridi, Stefano Levi Della Torre e Gad Lerner. "Una strage ’più piccola’ non è legittima". "La tregua in Palestrina è fragile".

"Come siamo arrivati fin qui?", ultimo incontro del ciclo dedicato alla Memoria. Tra i protagonisti sul palco Paola Caridi, Stefano Levi Della Torre e Gad Lerner. "Una strage ’più piccola’ non è legittima". "La tregua in Palestrina è fragile".

Persecuzioni, riduzioni in schiavitù, deportazioni, sterminio con tecnologie e modalità industriali. In una parola: Shoah. Ma il solo fatto che ciò che è venuto dopo – e che sta ancora accadendo, probabilmente in una qualsiasi parte del mondo - non abbia avuto una tale concentrazione di disumanità, rende davvero quell’accaduto meno brutale, più ignorabile? E allora la mente volge subito là, diretta a Gaza: è genocidio o non lo è, ma l’uso di una parola cambierebbe il senso e il risultato del conflitto? Il qui e ora e poi la Shoah e il più recente 7 ottobre sono stati i protagonisti dell’incontro di chiusura de "Le parole di Hurbinek", il progetto ideato da Massimiliano Bucciantini e realizzato da Teatri di Pistoia, con il sostegno di Fondazione Caript e la collaborazione di Uniser che attraverso lezioni civili, incontri, dibattiti e spettacoli ha stimolato la riflessione attorno al Giorno della Memoria. Più voci a sviscerare un tema che affonda le sue radici nel "sempre" e che ogni volta si ripromette un "mai" finendo sempre per venire contraddetto dagli eventi nel mondo.

Ad aprire la lezione, dall’evocativo titolo "Come siamo arrivati fin qui?", un’immagine proposta dalla giornalista Paola Caridi presente in collegamento da Doha, Qatar: quella marea umana di palestinesi che preme come l’onda di uno tsunami per tornare a casa, Gaza, là dove casa però non esiste più. Ed ecco il cuore della riflessione, che guarda a Gaza come a un qualsiasi conflitto: si è finito per dimenticarsi di una terra e della popolazione che la abita.

"Assistiamo a una accentuazione della distanza tra la gente e l’apparato di forza – ha aggiunto lo scrittore e critico d’arte Stefano Levi Della Torre -. È che tutti i populismi finiscono per dimenticarsi della gente. Quanto al Giorno della memoria credo occorra una riflessione. Dobbiamo declinare il significato di questa memoria, affinché sia comprensibile anche ai nostri ragazzi, non sempre e non solo europei, con altri sfondi di esperienza storica, quasi sempre tragica. Da discepolo di Primo Levi io condivido il pensiero che ciò che è accaduto potrebbe ancora succedere. E prova ne è il fatto che il racconto di allora non ha funzionato da antidoto. È solo che siccome si compie una ‘strage più piccola’ si pensa allora che sia legittimo o consentito farlo. Allora che fare, compiangere le vittime o studiare quei meccanismi che hanno generato quegli eventi? Dovremmo infine spostare il nostro accento sulla memoria dei carnefici, intendere i lager come organizzazione eccezionale della banalità umana e chiederci in che direzione essa può andare".

Del fragilissimo equilibrio della tregua israelo-palestinese ha poi parlato il giornalista Gad Lerner, premettendo un dato incontestabile, che la storia non torna indietro, e un’idea: Nakba e Shoah sono due rovesci della stessa medaglia. "Gli israeliani oggi non si sentono certo più sicuri, assistono allo spettacolo pubblico di una tregua da siglare con Hamas, che invece avrebbero desiderato annientare – ha detto Lerner -. Assistiamo al lancio reciproco di accuse di nazismo dalle due parti, Hamas e Israele, cioè la dimostrazione contraria di come la memoria dovrebbe funzionare da deterrente contro il fanatismo. La storia serve a elaborare percorsi di riconoscimento reciproco, di convivenza. Mi spaventa che l’esito di questa situazione disperante invece porti all’idea serpeggiante che se Israele sparisse potremmo raggiungere stabilità". Infine il tema dei media nel conflitto: "La differenza oggi con ottant’anni fa è che le vittime si sono raccontate, che la sofferenza di Gaza l’abbiamo vista tutti. E noi spettatori cosa abbiamo fatto?".

linda meoni