Pistoia, 17 novembre 2020 - Non sono un eroe, sono un operatore sanitario. Non siamo eroi, siamo solo persone che ogni giorno lavorano per cercare di tornare alla normalità. Persone che fanno il loro mestiere con amore come molte altre categorie. Non è un lavoro facile certo, dobbiamo restare vigili e attenti. La fatica si sente, sulla schiena, nelle braccia. Ma la fatica maggiore la senti nella testa. Quando entri in quelle stanze chiuse. E devono restare chiuse per la sicurezza e dei pazienti. Pazienti che ci vedono entrare tutti mascherati e non possono che guardare i nostri occhi, ascoltare la nostra voce per cercare di captare un po’ di umanità. Poi esci e lì dentro restano persone sole, prive dell’affetto dei familiari distanti purtroppo da giorni. Questo è il peso più grande.
Finito il turno, torni a casa. Quelle porte si riaprono nella tua testa. Pensi ai pazienti, a cosa faranno, ai loro pensieri mentre tu a casa sei con la tua famiglia. Si riaprono le porte appena vai a dormire e non riesci a dormire. Parli con loro, cerchi di consolarli, e speri di trovarli di nuovo quando rientrerai al lavoro. Nei pensieri scorre la tua giornata di lavoro, i sorrisi quando entri in stanza, i mille "grazie" che ti dicono, i pianti. Sì, piangono. Piangono perché non ce la fanno più, piangono se riescono a sentire un familiare al telefono. Se gli arriva la notizia che un nipote, un figlio, un congiunto ,un genitore finalmente sta meglio.
Piangono se il tampone è positivo, ancor più se è negativo perché hanno paura di rientrare a casa e infettare qualcuno, pur adottando tutte le misure necessarie. Pensi e non dormi. Pensi che ogni piccola cosa che la vita ti dà è preziosa e ti rendi conto che fino ad adesso tutto ciò che credevi scontato non è poi così tale. Pensi che sei fortunato a lavorare in un posto dove tutti hanno un bisogno enorme di essere aiutati, fisicamente e umanamente. Pensi che un giorno tutto questo finirà, non sai quando, ma finirà. Adesso la battaglia è ancor più dura perché se a marzo c’era l’adrenalina che ci permetteva di non sentire fatica, ansia e stress adesso viene meno. Siamo senza dubbio più coscienti di quello che facciamo, più competenti grazi alle procedure che guidano il nostro operato, abbiamo presidi da utilizzare e dpi per proteggerci, ma siamo tutti molto più stanchi e non sappiamo quando tutto questo finirà.
Adesso è più difficile perché l’età dei pazienti si è notevolmente abbassata e non è facile vedere persone di 60 o 70 anni sotto una CPap che pregano affinché non gli venga messo un tubo in gola per poter respirare. Non è facile quando ti chiedono di chiamare a casa per tranquillizzare i familiari perché loro non riescono a parlare. Sono troppo affaticati e anche una parola in più per loro è un’impresa enorme. Quando ti manca l’aria la sensazione è quella di essere con la testa dentro un secchio di acqua e cerchi aria ovunque. Per questo la voglia di lottare non va via. Anzi si rafforza pensando a quelle porte, a quei sorrisi, a quelle lacrime. Tra noi operatori il legame si è rafforzato. Siamo diventati una squadra ancor più unita e questo è importante per continuare una battaglia che sarà ancora lunga. La voglia di lottare anche contro a chi crede che il Virus sia un invenzione, una farsa, una finzione. Il Virus esiste, non va temuto ma contenuto.
Non vivete in funzione di informazioni sommarie sui social, piuttosto chiedete al personale sanitario che cosa sta realmente accadendo negli ospedali. Dobbiamo rispettare le regole. Solo così potremo tornare a fare una vita normale, serena, come prima. Non dobbiamo metterci uno contro l’altro e aprire diatribe su una cosa che è palesemente devastante a livello mondiale, ma dobbiamo restare uniti. Dobbiamo permettere al personale sanitario di lavorare con tranquillità. Noi ce la metteremo tutta, come sempre, ma è importante il ruolo di ogni singolo cittadino. Aiutateci ad aiutarvi.
Massimo Menichini è un operatore sanitario all’ospedale San Jacopo