
Francesca Rafanelli Maffucci con il professor Mauro Guerrini
Pistoia, 17 ottobre 2019 - La società e la sua identità non passano solo dalle gesta o dalle immagini che la rappresentano. Importante, per non dire fondamentale, è raccontare quella storia che passa dalle antiche biblioteche o dagli arrugginiti cassetti, arrivando poi alle cucine e infine alle tavole. In questo senso il volume “Antiche ricette delle Monache Benedettine” a cura di Francesca Rafanelli (Settegiorni editore, 2019, 12 euro) racconta una Pistoia inedita, quella che tutt’oggi si conserva nelle segrete del monastero di Santa Maria degli Angeli, dove nei secoli le monache hanno conservato, lavorato e prodotto leccornie di ogni genere. Ed ecco che allora il lettore potrà perdersi nei tre “quadernucci” ritrascritti da Francesca Rafanelli, sfogliando le antiche preparazioni monastiche della torta al semolino o di riso, delle “giambelle” o della “pasta frola”, riscoprendo il profumo ancora vivo della “salsa di pomidoro” o del “fritto di semolina”, fino anche ai gelati o al “dolce per la comunità”.
E poteva poi mancare il capitolo degli spiriti, con il “nocito” alla maniera del signor Serpagli o della signora Ida Folli? Certamente no, come anche trova ampio spazio nelle più disparate declinazioni – al limone, all’arancio, al comino, all’anice stellato, alla vaniglia o all’alchermes, passando per la variante “perfetto amore” - la ricetta del rosolio, liquore realizzato fin dal 1728, sebbene, come precisa la curatrice del volume, la vera, perfetta e tradizionale alchimia d’ingredienti resta un segreto custodito sottochiave dalla badessa del monastero, pronto ad essere svelato solo a chi verrà nei secoli a raccogliere il testimone. Il viaggio condotto da Rafanelli ci guida dritto nei meandri della biblioteca storica del Monastero, scartabellando insieme quaderni e carte risalenti a un periodo tra il XIX e il XX secolo.
“Il fondo ricette al momento della revisione preliminare – scrive Francesca nell’introduzione – si compone di otto quaderni culinari ai quali si aggiungono fascicoletti e fogli sciolti riportanti ricette anche a carattere curativo. Alla formazione del nucleo più antico ha contribuito in maniera determinante, già dalla seconda metà del XVII secolo, la presenza di una Spezieria che arricchì il patrimonio monastico di antichi dizionari, trattati sulla medicina e sui veleni, tra i quali il celebre Ricettario Sanese del 1798. Tra le settecentesche carte del ricettario sono state rintracciate altre ricette, tra le quali il curioso Elisir di lunga vita del signor Bracciolini”.
“L’orto e il giardino delle erbe ha sempre caratterizzato monasteri e conventi, al pari di chiesa e biblioteca – scrive nella prefazione il professor Mauro Guerrini dell’Università degli studi di Firenze –. La pubblicazione delle ricette delle Benedettine è in primo luogo una testimonianza di cultura per il soggetto produttore della materia prima, per l’intelligenza umana elaboratrice delle procedure per trasformarla in cibo gustoso, gratificante e talora terapeutico, una dimostrazione di rispetto per il consumatore a cui viene offerto un alimento eccellente per la sua felicità corporale e spirituale”.