Giubbotto beige e cappuccio calato sulla testa, un viso provato e uno sguardo che, per pochi istanti, ha incrociato quello, severo, della cognata, l’ex moglie dell’uomo che lui avrebbe ucciso, prima colpendolo alla testa, poi sferrandogli calci al torace e infine dandogli fuoco quando ancora respirava. Daniele Maiorino, 58 anni di Prato, in carcere dalla notte di giovedì, accusato dell’omicidio di suo cognato Alessio Cini, è arrivato puntuale, davanti all’ingresso del tribunale di Pistoia, poco prima delle 9 di ieri mattina, quando era fissata l’udienza davanti al gip Patrizia Martucci.
Ad aspettarlo uno stuolo di giornalisti: la brutalità dell’omicidio commesso all’alba di lunedì 8 gennaio, alla Ferruccia di Agliana, tra il silenzio dei vivai e la tranquillità di una piccola comunità di provincia, ha fatto clamore. Ad aspettarlo, soprattutto, c’era Katiuscia Carrone, ex moglie di Cini e madre di sua figlia, che ha avuto appena il tempo di avvicinarsi, per guardarlo fisso negli occhi, prima dell’ingresso in tribunale.
Davanti al giudice, Maiorino ha ribadito la sua innocenza, tornando sulle dichiarazioni rese nell’interrogatorio fiume, durato ore, e poi conclusosi col fermo nella notte tra giovedì e venerdì scorso. Il suo legale, l’avvocato Katia Dottore Giachino di Prato, insieme con la collega Fulvia Lippi, ha chiesto l’applicazione dell’obbligo di dimora a Prato, o in ipotesi subordinata, degli arresti domiciliari, ma il giudice, che ha sciolto la riserva nel pomeriggio, ha disposto per Maiorino la custodia cautelare in carcere.
A suo carico sarebbero emersi gravi indizi di colpevolezza: a dirlo sono i riscontri medico legali sul corpo della vittima (ovvero le ferite inferte alla testa e al torace che descrivono le sequenze dell’aggressione), i filmati delle telecamere di video sorveglianza che inquadrano l’esplosione nel cortile e le fiamme sul corpo della vittima e le intercettazioni ambientali nell’auto dell’indagato, lunghe "affermazioni confessorie", contenenti particolari di quella che appare una vera esecuzione, dettagli che, secondo l’ipotesi accusatoria, solo l’assassino avrebbe potuto conoscere in quel momento.
"L’ho ammazzato, L’ho preso a calci, gli ho rotto lo sterno e gli ho dato foco", avrebbe detto Maiorino, parlando tra sé e sé nella sua auto. E poi, pensando al da farsi: "Dobbiamo rilasciare dichiarazioni che siamo sconvolti...".
Ma soprattutto, sussisterebbero, secondo il gip, le esigenze cautelari: un concreto pericolo di fuga (nelle intercettazioni e nei tabulati, si parla di come poter lasciare il paese) e la pericolosità sociale dell’indagato che potrebbe tornare a uccidere. Lo direbbe la sua condotta "particolarmente efferata", ma lo direbbero anche alcune intercettazioni ambientali, in cui l’indagato dice di voler uccidere la cognata Katiuscia, che, secondo lui, si sarebbe già attivata per richiedere la pensione di reversibilità dell’ex marito.
L’avvocato di Maiorino, Katia Dottore Giachino ha spiegato che saranno nominati periti di entrambe le parti per chiarire il testo delle intercettazioni ambientali, "perché queste sono fonti di prova sulle quali ci dovrà essere il contraddittorio pieno. Questo è un processo che si svilupperà esclusivamente sulle perizie", ha chiarito. "Riguardo al pericolo di fuga – ha detto l’avvocato – il mio cliente ha spiegato di non avere il passaporto, mentre i contatti con cittadini extracomunitari, che secondo l’accusa sarebbero stati finalizzati ad avere un aiuto per lasciare il territorio italiano, erano contatti di lavoro. Inoltre, l’arma del delitto non è stata trovata".
Martina Vacca