Pistoia, 17 luglio 2024 – La notizia della morte di Joe Bryant è arrivata all’improvviso e i cuori di molti appassionati di pallacanestro sono tornati a sussultare. Nessuno ancora si era abituato alla scomparsa di Kobe e della figlia Gianna, avvenuta quattro anni e mezzo fa, che un altro lutto ha colpito la famiglia Bryant. Joe, per tutti ’Jellybean’ per la sua passione per le caramelle gommose, aveva 69 anni, era nato a Philadelphia il 19 ottobre 1954, un trascorso in Nba per 8 stagioni vestendo le maglie di Philadelphia 76ers, San Diego Clippers e Houston Rockets per poi sbarcare in Italia disputando stagioni da autentica star con Rieti, Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia. Con la maglia dell’Olimpia Basket, Bryant giocò per due stagioni dal 1987 al 1989 in serie A2 facendo coppia con Leon Douglas. Erano gli anni d’oro della pallacanestro pistoiese e Bryant fece di tutto per renderli indimenticabili.
Giocatore spettacolare di grandissimo talento, Joe, incantava il pubblico ogni volta che scendeva sul parquet ed era un autentico incubo per gli avversari. Quando in campo si fermava a guardare il gioco con le mani sulle ginocchia e prendendo in bocca la collana d’oro che portava rigorosamente sempre al collo, era il segno che era arrivato il momento di mettere la parola fine alla partita. "Ho giocato con tanti americani nella mia carriera – racconta Claudio Crippa capitano dell’Olimpia Basket e compagno di Joe – ma uno del talento di Joe non l’ho mai visto. Un 2,06 che poteva coprire tutti i ruoli in campo, con una capacità incredibile di palleggiare, passare, tirare e fare canestro, un carisma e un impatto sulla partita e sugli avversari impressionanti. Ricordo una persona squisita, così come tutta la famiglia, un compagno di squadra eccezionale. Sapevo che si fosse ritirato a Las Vegas ma non che avesse avuto così grossi problemi di salute. Un personaggio sicuramente, ricordo che una volta durante un allenamento in pieno inverno si era rotto il riscaldamento e lui entrò in campo con il termometro per misurare i gradi, ce ne saranno stati 10. Joe ci chiese di aspettare un attimo, andò negli spogliatoi e tornò indossando i guanti e fece tutto l’allenamento così ma la cosa più incredibile è che riuscì a tirare e segnare con i guanti senza sbagliare un canestro. Joe sapeva quando era il momento di regalare spettacolo e quando invece decideva di vincere la partita e in quel momento era impossibile da fermare".
Un istrione, un personaggio fuori dalle righe in campo, quanto riservato nella vita di tutti i giorni. Joe quando arrivò a Pistoia non scelse di abitare nel centro della città, ma si innamorò di Cireglio, un posto per lui molto caro dove poteva vivere in tranquillità perché lì non era il personaggio ma solo Joe Bryant. Un amore che ’Jellybean’ aveva trasmesso al figlio Kobe, anche lui innamorato di quel posto magico lontano dai riflettori e immerso nella natura e soprattutto fatto di vita vera. Joe ieri è stato ricordato anche dal Pistoia Basket in una n ota: "Rimarrà il primo americano della storia di questa città e riuscì, in quegli anni, a far vedere tutti i suoi numeri e la sua classe al fianco di un altro campione come Leon Douglas. Alla famiglia di Bryant le più sentite e sincere condoglianze da parte di tutto il Pistoia Basket 2000 in questo momento di grande dolore". Ciao Joe, ti sia lieve la terra.