REDAZIONE PISTOIA

Nel mondo di Guccini: "Vivo i miei anni migliori"

Il grande cantautore e scrittore di Pavana ha parlato del suo ultimo libro "Così eravamo" in cui racconta la sua vita nel decennio dal 1952 al 1962.

Francesco Guccini ieri all’auditorium Terzani (AcerboniFotoCastellani)

Francesco Guccini ieri all’auditorium Terzani (AcerboniFotoCastellani)

Nella casa di Pavana c’è un giradischi muto. Non suona più. Anzi, per la verità non ha mai suonato, neppure avendo lì, da qualche parte, dei dischi che varrebbe ancora la pena far girare. "È un regalo di mia moglie, meraviglioso. La verità però è che io non lo so adoprare. Allora non lo accendo. E non ascolto musica. Così come non ascolto neppure la radio, la tv".

È che Pavana per Francesco Guccini è da sempre un piccolo mondo antico, il manifesto da abitare di quella che è la sua idea di vita: spoglia, autentica, lontana dai rumori di fondo che finiscono spesso per confondere, allontanare dal senso vero.

È sceso dalla sua montagna ieri pomeriggio, Francesco Guccini, ospite del Premio Letterario Ceppo per raccontare il suo ultimo figlio di carta: "Così eravamo. Giornalisti, orchestrali, ragazze allegre e altri persi per strada" (Giunti, 2024). Un pubblico assai numeroso ha ascoltato le sue parole nel silenzio palpitante che ha avvolto l’auditorium Tiziano Terzani, alla Biblioteca San Giorgio. L’evento si è svolto con la compartecipazione del Comune di Pistoia, il sostegno della Fondazione Caript e la collaborazione della libreria Giunti al Punto di Pistoia.

Due racconti, questa l’idea iniziale, che alla fine sono diventati cinque. Dentro c’è tanto della sua Modena, della sua vita dal 1952 al 1962. Ma non solo della sua, anche dei tanti incontri che l’hanno attraversata, a conferma che anche di quello siamo fatti. E c’è anche la fine della vita poi, inevitabile, con cui s’impatta subito nella lettura, dalla prima riga.

È "il Colombini" – perché a scuola così ci si conosce, per cognome – che è morto. Dodici anni appena. "Rifletto che non vedrà il prossimo Natale, quello del ’52, e neppure quelli dopo. Tutti gli avvenimenti che sono seguiti, enormi. L’uomo sulla Luna, la guerra del Vietnam, i Beatles. Che ne saprà mai il Colombini? Allora se mi si chiede quali avvenimenti più mi hanno colpito io non lo so. Perché tutti sono importanti. Perché è stato epocale viverli, esserne partecipi". La centralità del passato quindi, rammentando la fugacità del presente e l’incognita del futuro, senza però finire a dire che prima si stava meglio.

"Meglio, peggio, non lo so dire. Io sono nato nel 1940, ormai Medioevo. Abbiam fatto la guerra, poi l’immediato dopoguerra. Il mondo adesso è molto diverso. Vedo gli asili di oggi e i criteri educativi che usano, cose lontane dalla mia immaginazione e pure dalla mia formazione. Ho fatto le magistrali dovrei saperne qualcosa, ma non mi riconosco in questi nuovi approcci. In quegli anni posso dire però che c’era speranza. Specie nei primi Cinquanta, culminati negli anni del boom. Ma c’era anche la miseria. Lo stipendio nel ’46 era di ottomila lire al mese. Lo zucchero era un lusso. I nonni in montagna avevano conigli e galline, spaccavano la legna. Davano una mano ai miei di città. Era dura. Ma poi s’intravide la rinascita. E non lo so se quella rinascita poi è continuata fino ai giorni nostri. Io credo si sia interrotta in qualche modo, da qualche parte".

"Così eravamo" offre anche lo spunto per parlare di quelli che per Francesco Guccini sono stati gli anni migliori.

"Quando si è giovani e si ha forza vitale. Anche se forse non sono quelli i migliori in assoluto. Da giovani in fondo non sai mai dove andrai a parare. Ma oggi ho 84 anni e mezzo, quasi. E probabilmente posso dire che gli anni migliori sono quelli che vivo. Perché sono ancora vivo. Nonostante questo bastone che porto. È la sciatica. Me lo diceva sempre la mia mamma, ‘tutti i giorni è una mancanza’ (lo dice in modenese, nda). Allora accetto questa tragica evenienza dei miei 84 anni".

E infine gli anni da giornalista. Due appena, ma indizio di un sogno che poi si è realizzato.

"Ero alla Gazzetta dell’Emilia di Modena – ricorda –. Volevo fare il giornalista da grande sperando di fare quello che oggi faccio davvero, lo scrittore. Era il mio sogno giovanile. Poi mi è capitato di scrivere canzoni, che pure è un altro modo di scrivere. Ma avrei voluto pensare a un romanzo, a un racconto. Dopo col giornalismo è finita e mi son messo a fare l’orchestrale, poi ancora il cantautore. E ora sono là dove speravo di essere. A portare avanti il mestiere di scrivere".

linda meoni