REDAZIONE PISTOIA

Omicidio di Alessio Cini. Maiorino accusa altri: "Io sono innocente. Tante bugie su di me"

È durato oltre quattro ore l’esame dell’imputato in Corte d’Assise. Il confronto sulle presunte confessioni captate nelle intercettazioni. "Parlavo tra me e me e simulavo l’interrogatorio del vero colpevole".

È durato oltre quattro ore l’esame dell’imputato in Corte d’Assise. Il confronto sulle presunte confessioni captate nelle intercettazioni. "Parlavo tra me e me e simulavo l’interrogatorio del vero colpevole".

È durato oltre quattro ore l’esame dell’imputato in Corte d’Assise. Il confronto sulle presunte confessioni captate nelle intercettazioni. "Parlavo tra me e me e simulavo l’interrogatorio del vero colpevole".

"Quando sono stato accusato dell’omicidio di mio cognato, mi è crollato il mondo addosso. Lui era una persona stupenda e io ci andavo d’accordo. Su di me ho sentito molte cose non vere, molte bugie, ma io sono innocente e sono tranquillissimo". Non ha mai perso la calma Daniele Maiorino nelle oltre quattro ore in cui si è svolto il suo esame, ieri mattina davanti ai giudici della Corte d’Assise a Firenze, presidente Silvia Cipriani, rispondendo alle domande dei giudici, del pubblico ministero Leonardo De Gaudio e a quelle del suo difensore, l’avvocato Katia Dottore Giachino. In carcere da oltre un anno, Maiorino, 59 anni operaio, è accusato dell’omicidio del cognato Alessio Cini, tecnico tessile di Prato, preso a sprangate e poi dato alle fiamme quando era ancora vivo, all’alba dell’8 gennaio 2024 nella villetta trifamigliare nella quale vivevano alla Ferruccia di Agliana. Omicidio volontario aggravato dalla crudeltà: questa l’accusa, che Maiorino ieri mattina ha respinto con tutte le forze. Soprattutto, dando la sua versione di quelle intercettazioni ambientali, captate dalla cimice nascosta nella sua auto, soliloqui che assumono la forma di una confessione del delitto (poi mai resa) o di una simulazione di interrogatorio al quale si preparerebbe in anticipo.

"In realtà, io stavo simulando l’interrogatorio a cui pensavo che fosse sottoposto in quelle ore il vero colpevole. Un’idea su ciò che è accaduto me la sono fatta da subito". Così, Maiorino ha dato spiegazione di quelle decine e decine di conversazioni con se stesso, molte contenenti dettagli sulla modalità del delitto che, secondo gli inquirenti, sarebbero state conosciute solo dall’assassino. Ma soprattutto, quelle frasi, la maggior parte pronunciate in prima persona, conterebbero una confessione esplicita: l’orrore di chi ha inflitto la morte. Frasi come: "Ho commesso un omicidio", "Gli ho rotto il costato", "Ho perso il capo, l’ho troncato. Gli ho dato foco".

Proprio sull’uso del soggetto singolare o plurale si è concentrato il riascolto delle intercettazioni richiesto dalla Corte, per chiarire l’ambivalenza di una frase, pronunciata da Maiorino, "L’hanno ammazzato", o "L’ho ammazzato". Per questo il perito nominato dalla Corte Annalisa Pollio ha redatto una relazione in cui ha evidenziato gli elementi discordanti nelle diverse trascrizioni presentate dal consulente del pubblico ministero Leonardo De Gaudio, che ha diretto le indagini, e del consulente di parte. Quanto ai dettagli dell’aggressione, Maiorino ha spiegato di averli appresi dai giornali e dalla tv.

Il movente economico. Nelle intercettazioni, Maiorino pronuncia alcune frasi che darebbero una spiegazione del possibile movente del delitto: ottenere l’affidamento della nipote (figlia della vittima) così da poter mettere mano sulla sua eredità. "Vittoria è tutta mia. Vittoria i soldi ce l’ha. Ci campa a te e a me". Anche su questo punto, Maiorino ha spiegato che in nessun caso avrebbe mai potuto occuparsi della nipote, essendo sua moglie invalida. Quel commento, pronunciato tra sé e sé, invece sarebbe la constatazione che la nipote dal punto di vista materiale era al sicuro. Riguardo invece alla sua situazione finanziaria, sono emersi però diversi particolari: come la richiesta frequente di soldi (giustificata per le spese condominiali condivise), sia al cognato che al vicino, piccole cifre. Ma anche i ritardi nel pagamento di una finanziaria. E soprattutto, Maiorino ha ammesso di essere stato un assuntore abituale di cocaina. L’avrebbe presa anche la sera prima della morte del cognato. Quella sera era uscito dopo cena e aveva acquistato due dosi per sé e per la moglie. Per poi consumarla insieme e addormentarsi: lei in camera e lui sul divano, con i vestiti addosso. Si era poi svegliato prima alle 3,30, poi all’arrivo dei soccorsi, alle 6,30, a cui il cane aveva abbaiato.

Le tracce di sangue. Quella notte, come spesso accadeva, Maiorino avrebbe dormito sul divano al piano terra davanti alla porta finestra che dà sul piazzale dove all’alba si è consumato il delitto. Sui suoi vestiti, sequestrati il giorno stesso, sono state isolate tracce di Dna della vittima, e tracce di sangue sulle suole delle scarpe. Due prove importanti. Alle quali l’uomo ha dato una spiegazione: contrariamente a quanto soccorritori e carabinieri gli avrebbero raccomandato, si sarebbe avvicinato più volte al corpo della vittima, calpestando quel sangue che non "veniva mai via", "riaffiorava".

Le telecamere. A incastrare Maiorino ci sarebbero poi le telecamere di videosorveglianza della villetta e quelle dei vivai attorno che fotografano, sebbene non il momento esatto dell’aggressione, gli spostamenti della vittima, quelli del vicino di casa, che si era allontanato prima dei fatti, e infine il bagliore delle fiamme all’alba. Uno scenario nel quale non trovano spazio, secondo la ricostruzione degli inquirenti, altre presenze estranee.

Martina Vacca