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Pastacaldi va in pensione "Sedici anni bellissimi"

La dirigente storica del Petrocchi si prepara a lasciare la guida di un luogo che ha amato moltissimo. Il racconto e i ricordi di un’epoca entusiasmante.

Pastacaldi va in pensione "Sedici anni bellissimi"

La preside Pastacaldi va in pensione. Dopo sedici anni alla guida del liceo artistico Petrocchi si prepara a lasciare il timone il primo settembre 2023. Abbiamo fatto una chiacchierata con lei parlando di gioie e dolori, della scuola e degli studenti, ma non solo. E con piccoli sguardi al futuro.

"Ho fatto la docente per molti anni. Ero qui a Pistoia, al Pacini, poi mi sono trasferita a Prato, in un liceo dove non mi sono trovata bene. Ero disposta a qualsiasi cosa pur di venire via. E nel 2004 ho deciso di fare il concorso. Il 1 settembre 2007 sono arrivata qui al Petrocchi. Le mie passioni da sempre sono l’arte, l’antiquariato e la cucina. Andai anche all’Alberghiero, che poi venne dato per trasferimento e quindi il destino mi ha portato qui. Entrando in questa scuola mi sono sentita subito a casa".

Com’era il Petrocchi al suo arrivo?

"Era una scuola anarchica, senza mai presidi con incarico continuativo, non aveva una linea. E quindi mi sono rifatta da una parte. C’era da organizzare gli spazi, come la presidenza, e senza oneri per la Provincia. Ho cercato mobili tra quelli in disponibilità nella scuola, sparsi e dimenticati. Con la falegnameria interna abbiamo restaurato e ha preso la forma di oggi: un ambiente accogliente. E questo ho fatto anche nelle aule. Purtroppo non ho potuto allargare la scuola mentre cresceva, ma mi sono aperta al mondo esterno dandole grande visibilità e gli studenti sono raddoppiati in cinque anni".

Cosa la rammarica?

"Siamo ancora in quattro sedi, scomode e scollegate tra loro. Tanti progetti e poi niente. Mi sono sempre dovuta arrangiare. Abbiamo 27 laboratori per 92 ore con un unico tecnico che deve girarle a spese proprie. Anche su questo le richieste non sono state ascoltate creando gravi difficoltà agli studenti".

Quali sono le sfide oggi?

"Il punto di forza dev’essere l’offerta formativa accattivante. Con laboratori all’avanguardia. La scuola deve piacere. E qui questo succede. La pandemia ha segnato questa generazione, segnandola sulla socializzazione. Una volta rientrati erano più arrabbiati, delusi, diversi. Piano piano stiamo recuperando. La debolezza è la mancanza di spazi. Vorrei una scuola come quelle del nord Europa, con spazi dove i ragazzi possono rimanere".

Il suo ricordo più bello?

"Il giorno dell’arrivo, dove ho sentito la scuola mia. Ma anche i primi eventi. La prima mostra. Le feste di fine anno, bellissime. Il “Mantello di Arlecchino“, dove partecipò tutta la scuola. O le scene di teatro itineranti all’interno della scuola. Il gala in collaborazione con l’alberghiero. L’asta attraverso la quale abbiamo raccolto soldi per infissi".

Un messaggio ai ragazzi e agli insegnanti...

"I ragazzi dovrebbero apprezzare questa scuola che dà loro l’anima. Come io ho dato la mia vivendo qui, sentendola casa. Spero che i ragazzi allentino le loro tensioni, e cerchino di collaborare, così come le loro famiglie. Alcuni insegnanti invece dovrebbero fare un piccolo sforzo per capire che con progettazione e laboratorio i ragazzi fanno qualcosa di caratteristico per il liceo e che quindi aprirsi con l’esterno è un bene per tutti".

Un sassolino nella scarpa?

"Senz’altro il rapporto con la Provincia. Non è positivo, è unilaterale. Ci hanno tolto un’aula senza chiederci niente, senza darci spazi adeguati. Dovrebbero tutelarci di più, tutelare gli studenti, capire meglio le esigenze di tutti".

E adesso, cosa farà?

"Ho tante idee e tanti progetti nella mente. Il primo settembre farò un bel viaggio e mi farò raccontare da lontano la riapertura delle scuole e seguirò le notizie che arriveranno da questa scuola che ho amato a prima vista. E l’amore si sa, non si dimentica".

Gabriele Acerboni