Una traccia di sangue con il Dna di Alessio Cini, l’operaio di Prato di 57 anni aggredito e dato alle fiamme nel cortile della sua casa alla Ferruccia l’8 gennaio di un anno fa, sarebbe stata trovata mista a fango, sotto la suola di una delle scarpe di Daniele Maiorino, in carcere da un anno con l’accusa di aver brutalmente assassinato suo cognato. Ed è intorno a questa prova che giovedì scorso si è concentrata l’esposizione della relazione, davanti ai giudici della Corte d’Assise di Firenze, del professore genetista Ugo Ricci, incaricato dalla Procura di Pistoia. Prova che si aggiungerebbe, nel complesso quadro ricostruito grazie alle indagini dei carabinieri diretti dal sostituto procuratore Leonardo De Gaudio, alle confessioni rese da Maiorino nelle registrazioni audio carpite nella sua macchina, monologhi nei quali l’uomo avrebbe descritto particolari dell’aggressione noti solo all’assassino. Secondo l’accusa Maiorino, 59 anni di Agliana, avrebbe potuto contaminarsi con il sangue della vittima solo essendo presente sul luogo al momento del delitto. Diversa la spiegazione che si danno i legali della difesa, le avvocatesse Katia Dottore Giachino e Flavia Lippi del foro di Prato, secondo le quali quella traccia, peraltro mista a fango, sarebbe stata lasciata sulla suola dell’imputato semplicemente calpestando il terreno del cortile nei momenti successivi al ritrovamento del cadavere.
Durante la lunga udienza, è stato ascoltato anche il perito informatico Andrea Bigagli, che ha analizzato le riprese video registrate dalle telecamere di sorveglianza dei vivai e di privati nella zona. Ci sarebbe, in particolare un "buco" di venti minuti in quei video che impedirebbe di vedere il momento esatto della aggressione. Una "falla" che il perito ha giustificato imputandola alla scarsa qualità degli stessi impianti di registrazione.
Intanto, ci si prepara alla prossima udienza, fissata per giovedì 23 gennaio, quando sarà ascoltato il medico legale, che eseguì l’autopsia, e i vicini di casa, che vivono al piano terreno della villetta trifamigliare dove l’8 gennaio di un anno fa si consumò uno dei delitti più efferati che la nostra provincia ricordi.
M.V.