Ci sono due domande a cui nè le indagini, accuratissime, dei carabinieri, nè il processo, davanti ai giudici della Corte d’Assise, nonostante il disvelamento totale di una delle più grandi tragedie mai avvenute negli ultimi anni a Pistoia, hanno potuto dare una risposta. Perchè, all’alba del primo giugno del 2023, il ragioniere sessantenne Patrizio Ruscio (che era agli arresti domiciliari), lasciò la sua casa in via di San Giorgio per raggiungere quella della madre novantenne Ottavina ’Rita’ Maestripieri che dormiva tranquilla nel suo letto, in via Monteverdi? E, soprattutto, perchè la uccise, soffocandola violentemente in pochi minuti?
Nell’estendere le motivazioni della sentenza pronunciata il 14 giugno del 2024, che ha condannato Ruscio a ventitrè anni di reclusione, la Corte di Assise di Firenze, presieduta da Silvia Cipriani, si sofferma su questi due fondamentali quesiti che hanno lasciato gli stessi giudici senza risposte, pur di fronte alla piena confessione dell’imputato che forse non è riuscito a spiegare nemmeno a se stesso il perchè di quella atrocità. Ha ucciso la propria madre, la persona che, più di tutte al mondo, l’aveva aiutato vista, si legge nelle motivazioni: "La grave situazione economica finanziaria che ha interessato il nucleo familiare dell’imputato, a causa della spregiudicatezza con la quale aveva condotto la sua professione che era ripetutamente sfociata in condotte illecite".
"Con riguardo all’atto omicidiario – scrive ancora la Corte –, l’imputato non riesce a dare una spiegazione chiara e ragionevole e coerente del motivo per il quale si fosse recato dalla madre prima delle sette del mattino, violando la prescrizione oraria imposta con la detenzione domiciliare. La madre dormiva ancora".
Agghiacciante la ricostruzione di quei momenti nelle dichiarazioni dell’imputato: "La sveglio, sveglio la mamma, chiaramente vi lascio immaginare quando mi ha visto, impaurita, si è impaurita, ha fatto uno scossone, mi sembrava avesse emesso anche un urlo...e mi fa che ore sono? Mamma è presto non ti preoccupare, stai calma, non guardare l’orologio, sono qui perchè...ma che ci fai a quest’ora...Le dico guarda mamma avevo bisogno di parlarti...era agitata, ma non piangeva, io ho fatto il gesto di alzare le mani e lei si è impaurita, le ho messo la mano sulla bocca..." La vicina di casa, si legge sempre nelle motivazioni, riferì che quella matttina, tra le 6.35 e le 6.40: "Percepiva i lamenti di una persona di sesso femminile che non articolava parole, descriveva un lamento di dolore, una richiesta di aiuto. Non era stata in grado di stabilire da dove provenissero, ma era certa dell’orario. I lamenti erano durati “qualche minuto“".
"Si è dato conto – scrive la Corte – della versione dell’imputato, dato che non vi sono testimoni. E’ inconfutabile, inoltre, come la ricostruzione del movente che ha mosso Ruscio a commettere tale delitto non sia semplice e che possano essere fatte delle mere ipotesi. Esclusa l’ipotesi che si trovasse in una condizione di infermità psichica al momento del fatto, non appare plausibile che un gesto così grave, sia scaturito semplicemente dall’impulso di calmare la madre. Usciva di casa prestissimo per parlare con la madre, avendo l’accortezza di non accendere i telefoni, certamente non di temi che presentassero un’urgenza tale da giustificare il fatto di svegliarla, sorprendendola nel sonno e violando i divieti. Affrontava con la donna una discussione su temi che non lasciavano particolari margini decisionali e che non sarebbero state certamente risolte in quel contesto mattutino: il denaro per rispettare la scadenza (gli arretrati dell’affitto di via Monteverdi) non era nella disponibilità di nessuno dei due e mutui, ipoteche, pignoramenti e debiti erano cosa definitiva. Si dubita fortemente che una discussione tra i due vi sia stata, che Ruscio non abbia, al contrario, sorpreso nel sonno la madre. La vicina che ha sentitto dei gemiti non ha udito alcuna discussione o voce, aspetto che sorprende essendo, sulla base di quanto riferito dall’imputato, discussione e soffocamento avvenuti nel medesimo punto e senza soluzione di continuità. Le ragioni che hanno spinto alla commissione del reato appaiono difficilmente riconducibili a una reazione di apprensione della madre. Si tratta di aspetti che certamento il processo, e ancor prima le indagini, non sono stati in grado di chiarire adeguatamente.
"Le ipotesi sono molteplici e non potranno essere dimostrate, dovendosi anche tenere in debita considerazione – conclude la Corte – come l’imputato non abbia dato prova di razionalità, e neppure di ragionevolezza nella gestione degli affari familiari e, più in generale, della propria esistenza". Il difensore di Ruscio, l’avvocato Francesco Stefani di Firenze, ha presentato ricorso in appello. Il processo d’assise di secondo grado è atteso per la primavera.
lucia agati