
L’addio del chirurgo dopo quarant’anni e ottomila pazienti operati. Lascia il camice domani: "Ma continuerò con la libera professione. E poi sarò dentro la Lilt, come coordinatore del comitato scientifico".
Agli occhi di molti quelli come lui sono "professionisti di ghiaccio", dalla mano ferma e il cuore anestetizzato. Quelli che fanno della distanza dal paziente la cifra distintiva. Ma per chiunque abbia incontrato il dottor Sandro Giannessi – e "sotto i suoi ferri" ci sono finiti almeno sette, ottomila pazienti in quarant’anni – non c’è mito più infondato: Giannessi è uno di famiglia, uno che, non è esagerato dirlo, ha restituito salute a una sfilza interminabile di pazienti. Settant’anni compiuti pochi giorni fa e una scadenza in agenda: da domani, sabato primo marzo svestirà il camice di primario della chirurgia generale del San Jacopo.
"Giardinaggio e lettura? Per carità – ci scherza sopra lui parlando di pensione –. Tempo libero sì, ma l’idea di passare da cento a zero… non posso! Continuerò con la libera professione, con gli impegni da vicepresidente dell’Ordine dei medici, ma anche da coordinatore locale del comitato scientifico della Lilt. Fanno un lavoro straordinario, in Lega".
Lo chiamano ‘meritato riposo’. Meritato lo è senz’altro, riposo un po’ meno… "Neppure per un giorno mi è accaduto di svegliarmi con l’angoscia di andare al lavoro. Che fortuna, vero? Ho trovato e partecipato a costruire un ambiente che ritengo straordinario, orgoglioso d’aver lavorato nella sanità toscana. Dopo il triennio 2001-2004 da primario a Castelnuovo Garfagnana e Barga, è arrivata Pistoia. Ho vissuto la realtà del Ceppo e poi il trasloco al San Jacopo. È stato bello partecipare a quel progetto. Tante idee, molte attuate, altre no, com’è normale. E quanto ci tenevo che nel primo intervento nel nuovo ospedale risultasse il mio nome. Fu una peritonite. Ci riuscii".
Cosa vede voltandosi indietro? "Sono strafelice di quello che ho potuto fare. Ho vissuto momenti storici sotto molti punti di vista. Non sono mancate le delusioni e i dispiaceri, ma nella stragrande maggioranza dei casi è stato un bel viaggio. E questo grazie ai pazienti".
Chirurgo uguale professionista senza emozioni: è così? "Lo sarà in qualche caso, non nel mio. Penso di aver dato un impulso più umano. Me lo dicono i pazienti. Il chirurgo è il lavoro più bello che esiste. Ma è altrettanto vero che è gravato da una serie di problemi che hanno a che fare con lo stile di vita, le difficoltà, i rischi. Tanto che sono sempre meno i giovani che vogliono fare questo lavoro. Gli ultimi dati lo evidenziano. E dire che ai miei tempi si doveva sgomitare".
Come s’inverte la marcia? "Rendendo la professione più appetibile e non solo economicamente. Penso agli sviluppi delle carriere, alla formazione, ai carichi di lavoro. Fino al 2024 sono stato coordinatore dell’Acoi per la Toscana, Associazione chirurghi ospedalieri e le richieste al Ministero sono state frequenti".
Come si è evoluta negli ultimi decenni la chirurgia? "L’impulso forte lo ha dato la tecnica mininvasiva. Anche a Pistoia ne abbiamo beneficiato moltissimo in termini di risultati felici sui pazienti e sull’avanzamento delle prestazioni, attestandoci a livelli di avanguardia. Il tutto finalizzato alla riduzione del trauma chirurgico. Un tempo ci insegnavano ‘grande taglio, grande chirurgo’. Col tempo l’approccio è cambiato e i risultati sui pazienti sono stati entusiasmanti. Oggi e nel futuro la scena è della chirurgia robotica".
Lei ha vissuto anche la sfida del covid, quando i chirurghi hanno dovuto reinventarsi… "Ho ancora i brividi pensandoci. Un momento drammatico. Clamoroso è stato il lavoro dei medici di pronto soccorso, degli anestesisti. Ma tutti, davvero, si sono schierati in prima linea. I chirurghi sono diventati itineranti, per riuscire a garantire gli interventi pur nel coas in strutture covid-free".
La chirurgia è sempre stata la sua strada? "Andavo alle medie, era il mio desiderio. La medicina l’ho amata tutta, ma la chirurgia è diventata presto una convinzione. Però va chiarito, il chirurgo non lavora con l’orologio in mano. La formazione è lunga. Ai ragazzi lo dico: i primi dieci anni almeno sono pieni di sacrificio".
Lo scorso anno le è stato riconosciuto pure il Bisturi d’oro, un premio alla carriera. "È stato fatto il mio nome, non posso non esserne orgoglioso perché è il riconoscimento al mio impegno nella professione, ma anche nel mondo extra ospedaliero. Poi però la riconoscenza che mi interessa è quella dei cittadini. Demagogia? No. Questo tipo di risultato non ce lo toglie nessuno".
A chi passerà ora il testimone della Chirurgia Generale pistoiese? "Ovviamente ci sarà un concorso nazionale a stabilirlo. Per quel che riguarda le professionalità interne al San Jacopo, io ho lavorato per oltre quindici anni insieme a un mio stretto collaboratore oggi divenuto molto esperto e che ha tutti i requisiti per continuare il mio lavoro e che spero possa prendere il mio posto. È il dottor Massimo Fedi, pistoiese, grande esperto in particolare di chirurgia epatobiliare e non solo".
È l’ora dei ringraziamenti: a chi li manda? "Ai medici di famiglia, ai pazienti, al personale del fu Ceppo e dell’oggi San Jacopo. A chi è scettico verso il nuovo dicevo allora e dico oggi che il nostro ospedale è un’eccellenza. Il mio è un grazie collettivo, che va anche alla stampa locale, alle istituzioni cittadine. E infine grazie alla mia famiglia. Che come accade in questi casi ha supportato, ma soprattutto sopportato".
linda meoni