Era l’estate del 2018 quando la ragazza scoprì nel marsupio del compagno una microcamera "miny-spy" di cui non conosceva l’esistenza. Si impossessò delle schede Sim dalle quali, in un primo momento, non riuscì a vedere il contenuto. Decise quindi di rivolgersi a un perito informatico. L’esperto riuscì ad aprire gran parte dei video e per la ragazza fu uno choc devastante: nelle immagini il corpo denudato di lei appariva "completamente inerte", – secondo gli inquirenti –, mentre lui, sotto l’occhio della telecamera, le avrebbe usato violenza. La giovane denunciò tutto alla polizia, raccontando anche del sospetto di esser stata sedata. Il fidanzato, 37 anni, pistoiese, che è difeso dagli avvocati Mario Riccio e Paolo Frosini di Pistoia, si è sempre dichiarato innocente, spiegando di aver ripreso sì la fidanzata a sua insaputa, ma di non averle mai usato violenza. Quello che avrebbe fatto infuriare la donna, infatti, sarebbe stato aver carpito, da parte del suo compagno, un loro momento di intimità. Quel file, dunque, avrebbe avuto un uso privato, pur essendo stato registrato all’insaputa della partner. Diversa la ricostruzione della vicenda da parte della donna, che è rappresentata dall’avvocato Sabrina Serroni di Prato e che ha sempre spiegato di non ricordare nulla di quei rapporti, dunque avuti senza il suo consenso.
Ieri pomeriggio, l’imputato è stato assolto dal collegio presieduto dal giudice Alessandro Buzzegoli, ai sensi dell’articolo 530 secondo comma del codice penale, ovvero per insufficienza di prove. L’indagine era stata diretta dal sostituto procuratore Giuseppe Grieco. Nell’ultima udienza, il 22 giugno scorso, il pubblico ministero Luigi Boccia aveva chiesto l’assoluzione dell’imputato per insufficienza di prove. In particolare, per la difficoltà di capire se il corpo denudato in primo piano della fidanzata fosse davvero inerte e dunque fosse provata la violenza. Nella sua deposizione, l’uomo infatti avrebbe giustificato l’immobilità della fidanzata con il fatto che lei fosse al telefono in quel momento.
"Faremo appello – ha commentato l’avvocato Serroni – per noi i fatti erano assolutamente chiari. Il corpo della mia assistita era inerte, segno che non era presente, e la donna è sempre rimasta in silenzio. Inoltre, abbiamo prodotto la registrazione audio del momento della scoperta della telecamera, nel quale lei si infuria, prova che non ne era a conoscenza".
Durante il processo, è stato ascoltato anche il perito informatico che aveva recuperato i files. Sembra che nella videocamera ce ne fossero oltre duecento, la maggior parte, però, erano stati cancellati. Più volte, infatti, dopo aver scoperto l’esistenza della videocamera, la donna aveva chiesto al fidanzato di poter visionare i contenuti delle registrazioni, ma lui si sarebbe sempre rifiutato di mostrarglieli.
Martina Vacca