Pistoia, 21 ottobre 2021 - Grazie al Premio letterario internazionale Ceppo, Pistoia “città rocciosa” percorre la strada della poesia e della narrativa per la difesa della sensibilità verso i più indifesi, perché “malgrado il male, ciò che è infernale nel mondo, dobbiamo sostenere la necessità di incontrare gli altri, di andare verso di loro”.
E' quello che un po' emerge dagli ultimi premi assegnati, come a Ughetto e Gospodinov. Forse è utile fare un po' di storia. Anche per effetto dei suoi sobborghi che sembrano “filamenti nel buio”, Pistoia dà l’impressione di “una stella caduta sulla terra, ma che di questo cosmico cataclisma nessuno si sia accorto. E tanto meno si accorgono i suoi cittadini di abitare in una stella solitaria caduta per chissà quale attrazione fatale in questo angolo di terra toscana”. Pisano, pistoiese e fiorentino.
Piero Bigongiari (1914-1997) forse a Pistoia, dove ha trascorso la sua infanzia e la sua giovinezza, è stato meno “rondine passeggera”che nelle altre città in cui ha vissuto e vi torna con versi, ricordi e pensieri colmi di incanto e delicatezza. Paolo Fabrizio Iacuzzi, direttore dell'Accademia del Ceppo, ha raccolto tutte le sue poesie fino al 1963, tra le quali la raccolta 'Le mura di Pistoia', e Elena Dei ha curato l'edizione di tre prose su Pistoia sotto il titolo di 'Una città rocciosa'. Per il tramite di Bigongiari la città è arrivata in Francia, dove Andrè Ughetto ha tradotto “Le remparts de Pistoia”.
Ughetto è un poeta francese che nel 2018 ha ricevuto proprio a Pistoia il Premio Ceppo internazionale 'Biero Bigongiari'. In quell'anno fu protagonista di un incontro all'Institute Francaise e partecipò a Livorno convegno 'Medì' della Comunità di Sant'Egidio a Livorno. Alcuni anni fa, con altri autori, Ughetto allestì in città un laboratorio di traduzione italo-francese.
“Ughetto non è solo uno dei più valenti poeti di Francia – osservò Iacuzzi - ma anche uno dei suoi più attenti critici letterari, specie sulla rivista 'Phoenix', di cui è il caporedattore, che da Marsiglia irradia il suo magistero costruendo un ponte tra il Mediterraneo e l'Europa”.
Il traduttore, nella visione e nell'esperienza di Ughetto, è un interprete perché “deve accogliere una poesia in un'altra poesia”, è un ponte: “Ci deve essere il poeta per tradurre il poeta”. Si possono portare i luoghi nella poesia e tutto ciò che è diverso, cioè a dire ogni uomo (l'uno diverso dall'altro): “L'universo è la scoperta dei luoghi, delle persone e questo ci dà sempre ragioni di vivere. Malgrado il male, ciò che è infernale nel mondo, dobbiamo sostenere la necessità di incontrare gli altri, di andare verso di loro”. “E' dovere del poteta staccarsi dalla contempazione del suo 'io' per andare incontro, con pari contemplazione, a quanto c'è di meglio o peggio nell'umanità”
La parola deve esplorare anche le direzioni dell'ingiustizia per aiutare invece “un mondo vivibile”. In tutto c'è forse “qualcosa da salvare”. Ecco perché la poesia “o sarà civile o non sarà”. Diventa in qualche modo poeta chi accoglie l'altra parola, quella che non viene da sé. Paolo Fabrizio Iacuzzi ha opportunamente osservato come “nella sua opera, cielo e terra sono sempre in un cortocircuito capace di accendere lampi ed epifanie del sacro, cosicché la poesia ha la forza di un canzoniere coeso, dove al centro stanno l'amore e l'amicizia”.
Quest'anno il Premio è stato assegnato allo scrittore bulgaro Georgi Gospodinov, autore di 'Cronorifugio' (ed. Woland, traduzione di Giuseppe Dell'Agata) e la cui ultima raccolta di racconti, 'E tutto divenne luna', è uscita in Italia proprio all’inizio della pandemia. Nella lettura svolta da Gospodinov in occasione del Premio e disponibile su web, tenuta grazie alla collaborazione con Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, Festival "L'anno che verrà: i libri che leggeremo", Casa editrice Voland e Istituto Bulgaro di Cultura di Roma, l'autore osserva che “nel tempo in cui tutti i nostri corpi erano rinchiusi nelle rispettive stanze, soltanto i libri potevano viaggiare”.
Questa è anche una bella, grande, indicazione sulla vocazione delle città ad essere ponti grazie alla cultura: “Quello che Boccaccio fa nel Decamerone, descrivendo lo scambio di storie durante la peste, è capitato anche a noi. La letteratura non è solo invenzione. Lo scambio di storie è terapeutico e salvifico, vaccino e medicina”.
“C’era nell’aria l’allarme e il presentimento della crisi che erano in attesa di essere raccontati”, ma “lasciatemi dire qualcosa di rasserenante. La consolazione che ci dà la letteratura è che, presto o tardi, ogni pestilenza passa e si trasforma in un libro o in una storia. E questi libri o storie di nuovo ci aiutano a sopravvivere anche alle pesti e alle crisi attuali, nelle quali siamo sprofondati. La letteratura è salvifica”.