DAVID ALLEGRANTI
Politica

Perché Letta non può fare il normalizzatore del Pd

Da Base Riformista caute aperture all'ex premier e richiesta comunque di un congresso. Ma nessuno può far scomparire il dibattito interno su identità, alleanze e rapporto con Conte

Enrico Letta

Enrico Letta

Roma, 11 marzo 2021 - Nel bunker del Nazareno sono rimasti i luogotenenti di Nicola Zingaretti: Nicola OddatiStefano VaccariMarco Furfaro. Il segretario dimissionario non si fa vedere da giorni nella sede del Pd. L’assemblea nazionale, convocata per domenica, attende che Enrico Letta, appena rientrato nella casa di Testaccio a Roma da Parigi, sciolga la riserva. Ma nel Pd si dà per scontato che l’ex presidente del Consiglio, che ha già parlato con Zingaretti, Dario Franceschini e Andrea Orlando, dirà di sì.

Nelle ultime ore, da Base Riformista – la corrente più numerosa del Parlamento, guidata da Lorenzo Guerini e Luca Lotti – sono arrivate parole di cauta apertura verso Letta, che però vanno decifrate. “Enrico Letta è una figura di indiscutibile autorevolezza e prestigio, che in una fase tanto difficile della vita del Pd garantirebbe sicuramente equilibrio e saggezza alla guida di una squadra di comando di uomini e donne”, ha detto ieri ad Agorà Andrea Romano, portavoce di Base Riformista, che domani pomeriggio riunirà i suoi parlamentari: “Al contempo considero inevitabile che il Pd arrivi a una vera, autentica e trasparente discussione congressuale in tempi rapidi, e comunque non appena la pandemia lo consentirà”.

Insomma, non è che da Parigi è arrivato il normalizzatore pronto a far scomparire il dibattito interno che va avanti da settimane sull’identità del Pd, sulle alleanze, sul rapporto con Giuseppe Conte, un tempo “punto di riferimento fortissimo di tutti i progressisti”, secondo la definizione di Zingaretti.

Le questioni poste da Base Riformista, da Matteo Orfini e da altri (come il sindaco di Firenze Dario Nardella), restano intatte. “Come diamo rappresentanza ai temi della crescita economica e dello sviluppo? Come tuteliamo meglio il lavoro e le nuove fragilità sociali? Quali alleanze servono al centrosinistra e su quali basi?”, chiede Romano, per il quale serve comunque un congresso, che ci sia o non ci sia Letta.

Nel bunker del Nazareno però gli zingarettiani superstiti stanno cercando di tirare l’ex presidente del Consiglio per la giacchetta, trasformandolo nel garante della dimissionaria segretaria Zingaretti. “Nell’assemblea nazionale del Pd, eletta dal congresso, la maggioranza di Zingaretti ha 774 delegati su 1100. Tutti gli ex renziani, insieme, solo 74 (ma sono molto numerosi in parlamento, perché scelti a suo tempo da Renzi). Un dato che spiega molte cose…”, dice Emanuele Felice, responsabile economico del Pd. Un’esibizione muscolare che non piace all’opposizione. Replica di Romano, su Twitter: “Stupisce che persino tu - dirigente del Pd nostra casa comune - alimenti questa pessima caricatura (immagino che anche tu sia ‘ex qualcosa’, o no?). E resta una domanda, se i numeri per te sono tanto importanti: perché allora si è dimesso Zingaretti?”.

Nei rapporti di forza, il gruppo parlamentare del Pd appartiene a un’altra epoca, visto che le liste le fece l’allora segretario Matteo Renzi. Quindi Zingaretti, eletto nel 2019, ha ereditato deputati e senatori scelti da dal suo predecessore. Con Renzi, appena eletto, era accaduta la stessa cosa: aveva ereditato un gruppo parlamentare appartenente all’epoca bersaniana. In assemblea, invece, la mozione Zingaretti è ampiamente maggioritaria. Ma Letta non potrà accompagnare alla porta gli “ex renziani” come sembra desiderare Felice. “Riproporremo a Letta quello che abbiamo già detto a Zingaretti”, dicono alla Nazione fonti di Base Riformista, che spiegano: “Discuteremo sui contenuti del mandato di Letta”. Anche perché in Parlamento la maggioranza dei parlamentari del Pd è appunto in mano, per dirla con Felice, agli ex renziani.