DAVID ALLEGRANTI
Politica

Benedetti toscani nell'Italia di Boris Draghi

Come cambia la geografia del centrosinistra

Curzio Malaparte

Firenze, 17 marzo 2021 - Rovinati dai comici, che hanno standardizzato lo spirito fino a non essere più spiritosi, rovinati dai senatori di Scandicci quando erano semplici rottamatori, rovinati pure dagli amici senesi nella stagione in cui il Mps era il babbo che provvede alle bollette da pagare e la Fondazione la mucchina da mungere, insomma rovinati da chi ci ha rappresentati fuori dalle nostre quattro mura, per quanto auguste e autorevoli, non ci rimane, a noialtri toscani, che il feroce contrappasso. L’oblio permanente.

Fuori dal governo di Boris Draghi, che ha fatto suo l’adagio di Stanis La Rochelle: “Il vero, grande merito di questa fiction è che non ci sono i toscani… Perché con quella c aspirata e quel senso dell’umorismo da quattro soldi i toscani hanno devastato questo paese”.

Un tempo, quando c’era il Giglio Magico al potere, salivi sul treno, ti sentivano parlare con l’accento fiorentino e ti chiedevano ma com’è codesto Renzi del quale tutti straparlano, com’è che ha fatto il sindaco di Firenze, da dove arriva, che storia ha, ma che bella novità. Adesso se vai in tv e si ausculta un accenno di vernacolo, vieni subito sgamato dal pubblico risentito per l’eccesso di “first reaction: shock” diventato renzianamente globale fino agli Emirati Arabi.

Qua un tempo era tutta campagna toscana, con la segreteria nazionale del Pd che nel 2014 per la prima volta si riuniva a Firenze, in via Martelli, e da Roma partivano cameraman e giornalisti per raccontare la presa del Palazzo con la calata dall’alto di Renzi, qua un tempo era tutto Maria Elena Boschi, Marco Carrai, Francesco Bonifazi, Luca Lotti. 

Qua un tempo era tutta Siena che ancora non bruciava, la città delle grandi ambizioni spezzate, dimezzate, una città per anni sovradimensionata in ogni suo aspetto. Finanziario, bancario, sportivo, politico. Specializzata in grandi progetti a metà, come quello del Duomo Nuovo, i cui lavori per raddoppiarlo dovevano cominciare nel Trecento.

Una città in cui c’era poco senso del realismo, fuori scala, non una città “a misura d’uomo”, come si sente dire, ma a misura di sogno. Una catena d’illusioni.  La banca migliore del mondo, la banca più sana del mondo, il partito più forte di tutti, la squadra di basket imbattibile. Tutto fuori scala, fino al punto che è dovuto arrivare il Tesoro a salvare il Mps, a carico dei contribuenti non toscani ma addirittura italiani. 

Sicché, di che cosa ci stupiamo se poi arriva l’oblio per noialtri toscani che già in quanto tali eravamo guardati con sospetto prima, figurarsi adesso. Potremmo tuttavia anche strafregarcene, già avvertiva il Malaparte: “Imparate dai toscani a stimare un onore il male che dicon di voi. E tutti dicon male di noi toscani, e non ci vogliono, e ci tengono a bada, sol perché siamo, e a ragione, crudeli e faziosi, cinici e ironici… Nessuno ci vuol bene (e a dirla fra noi non ce ne importa nulla)”.

Adesso al Nazareno, sede del Pd a Roma, è arrivato Enrico Letta, che è pisano ma vive al Testaccio, fa il segretario dopo Veltroni, Franceschini, Bersani, Epifani, Renzi, Orfini, di nuovo Renzi, Martina e Zingaretti, e dice che il Pd deve uscire dalla Ztl.

Forse dovrebbe pure uscire, però, dal Gra, il Grande raccordo anulare, dove la segreteria Zingaretti-Bettini si trovava benissimo, a proprio agio con la sinistra di piazza Mazzini, e dove pure lì i toscani scarseggiavano, anzi non c’erano proprio.

L’unico era l’aglianese Marco Furfaro, nominato responsabile comunicazione del Pd provenendo da altre storie politiche (sponda Sel, sponda Tsipras), ma da così tanti anni a Roma da aver risciacquato i panni nel Tevere più che nell’Arno.

Cos’è dunque che resta? La letteratura. È la letteratura che ci salva dal disdoro del governo Boris Draghi, quello dove ci sono proprio tutti (dal Pd alla Lega, da Italia viva a Forza Italia) tranne i toscani. Ci salvano il pisano Gipi, il pratese Edoardo Nesi, il montevarchino Vanni Santoni, il fortemarmino Fabio Genovesi, il livornese Simone Lenzi. Grazie a loro abbiamo ancora il cielo negli occhi e l’inferno in bocca.