
Elezioni regionali (Foto di repertorio)
Firenze, 30 marzo 2025 – Mancherebbero sei mesi alle elezioni regionali. Ci sarebbe da indossare il trench novembrino per recarsi alle urne, il covid nel 2020 ha fatto slittare le scadenze naturali di mandato dei governatori di Campania, Marche, Puglia, Toscana, Veneto e Valle D’Aosta. Eppure, con aprile alle porte, non si respira nell’aria quell’aroma frizzantino tipico della campagna elettorale. Non ci sono neanche i candidati ufficiali alle presidenze. Sul risiko delle nomine perdura uno stallo nazionale dato dalle riflessioni del Viminale. L’opzione di posticipare alla primavera 2026 il rinnovo delle consiliature non è sul tavolo, di più. Un anno di tempo in più, in politica, equivale a un’era geologica in cui tutto può succedere. Persino un cambio in corsa di chi oggi è stra favorito alla presidenza bis. O tris, direbbe Vincenzo De Luca. O quater, direbbe Luca Zaia.
Centrodestra
Perché Tomasi ancora è candidabile e non candidato? Non fa più notizia la gazzarra quotidiana tra i quadri toscani di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. Per gli alleati, il sindaco non buca abbastanza lo schermo, non come Giani, vero mago dell'ubiquità. "Tutto troppo congelato”, dice il leader degli azzurri Marco Stella. Il destra-centro sarà anche “unito dal ‘94”, ma quattro candidati governatori per tre partiti - Tomasi per FdI, Meini per la Lega, Stella e Bergamini per Forza Italia - è uno scenario senza precedenti. Reso ancor più imprevedibile grazie alla scheggia impazzita di Roberto Vannacci. Niente illusioni, la diaspora toscana verrà risolta da Roma. Non appena sciolto il bandolo intricato del Veneto. Regione che, per statuto, può permettersi da sola di andare al voto nel ‘26 .
Il gioco del trono è semplice quanto venale: i meloniani con gli alleati governano 14 regioni su 21. Nessuna di queste è nel nord Italia. Sottrarre il baluardo del Veneto alla padana ‘Liga’ è vitale per un partito come FdI che viaggia al 30% e che guida il quinto governo più longevo in 79 anni di storia repubblicana. Il punto è che Zaia vanta un peso, un consenso e un radicamento senza pari. Imporre un nome per FdI senza spaccare la coalizione è una sfida dal coefficiente più alto di un triplo e mezzo carpiato. A Meloni serve più tempo per tessere le tela con Salvini e Tajani dello scacchiere delle nomine. Anche per evitare la ‘corsa a perdere’ di uno dei suoi nella Toscana rossa. E a costo di offrire un assist al Doge con lo slittamento al ‘26 (l’accoppiamento con le amministrative "farebbe spendere molti milioni in meno”, Zaia dixit). Quindi “la realistica possibilità delle elezioni in primavera” cantierizzata dal ministro Piantedosi lascia in sospeso la discesa in campo di Tomasi. Confinato per un altro po’ nella sua Pistoia, in bagarre con Meini e Stella.
Centrosinistra
Perché Giani ancora è candidabile e non candidato? Il governatore uscente è oramai impaziente. L’incoronazione sarebbe dovuta arrivare a gennaio. Poi a febbraio, poi marzo. In realtà, il Nazareno, ‘quatto quatto’, attende e spera che la Consulta il 9 aprile neghi a De Luca il terzo mandato in Campania. Mentre gli sherpa di Schlein e Conte limano l’accordo su Roberto Fico, saltato nei 5S il tetto ai due mandati. L’intesa all’ombra del Vesuvio aprirebbe praterie per quella all’ombra del Cupolone. Giani, nel frattempo governa, legifera (fine vita, salario minimo negli appalti regionali, Toscana Diffusa, Testo Unico sul turismo), macina chilometri per sopralluoghi nelle zone alluvionate, stringe accordi (chiedere al Polo laico riformista), vola nei sondaggi, dribbla il fuoco di paglia delle primarie lanciate da Fratoianni (“Io non mi sottraggo”), spinge per il campo larghissimo tenendo per mano sia Renzi che Conte. Sembra parlare quest’ultimo l’apertura di Giani a un “reddito sociale" che molto sà di reddito di cittadinanza.
Renzi ormai ‘sta sereno’, si è spostato a sinistra tanto da ritirare l’iniziale assist alla riforma della giustizia (Giustizia che tanto bene l’ha assolto dallo scandalo Open).
Ma il muro dei 5S pare infrangibile: no a Renzi e «discontinuità su Giani. Una bella gatta da pelare per Schlein. Come Meloni, Elly fa i conti con la discrepanza di governare un partito a Roma avendo zero luogotenenti al governo delle sei Regioni progressiste. In Puglia c’è l’altro sceriffo, Emiliano, e il riformista Decaro è in pole per la staffetta. Picche in Sardegna con la contiana Todde, in Emilia c’è il bonacciniano De Pascale, in Umbria la civica cattolica Proietti.
Restano Campania e Toscana, in mano a due riformisti. E allora, si vota nel 2025? Troppo sanguinoso cassare un governatore al primo mandato senza un profilo di pari forza e riconoscibilità, il ragionamento dei dem. Si vota nel 2026? Forse c’è il tempo per plasmare uno schleiniano di ferro, congedando Giani con un anno in più alla guida di Palazzo Strozzi Sacrati sul curriculum. A spanne i papabili sarebbero due, Fossi o Furfaro, entrambi troppo poco convinti, a quanto pare.