Firenze, 13 settembre 2015 - Se c'è una cosa che la gente non perdona ai politici è l’inconcludenza, il parlare per il parlare, quello che Berlusconi definiva il “teatrino della politica”. Definizione che ai suoi tempi rappresentò la fortuna del Cavaliere e lo consacrò agli occhi dell’opinione pubblica come un uomo concreto e dinamico. Poco memori di quei momenti e di quel sentimento di popolare genuinità che, a torto o a ragione, rappresentò la fortuna di Berlusconi, la cosiddetta minoranza dem, ossia gli sconfitti dall’ultimo congresso democratico, stanno inchiodando il Paese in una discussione infinita sul futuro delle riforme.
Proprio loro, che sono tutti in parlamento da nominati grazie al Porcellum, loro, che al Senato permisero l’approvazione dell’Italicum ossia la legge elettorale che prevede una Camera dei deputati di nominati e non di scelti dal popolo, loro, che hanno votato sia alla Camera sia al Senato la riforma Renzi-Boschi in prima lettura.
Proprio loro vorrebbero adesso farci credere che la battaglia in corso sull’eleggibilità del “nuovo” Senato è una battaglia in difesa della democrazia e non ha invece come sfondo le beghe interne al Partito democratico, che insomma niente ha a che vedere con il secondo tempo di un congresso perso e straperso.
Illusi. E non tanto perché di riffa o di raffa alla fine la riforma passerà, vista la paura generale di andare alle elezioni il che significherebbe per molti onorevoli doversi cercare un lavoro, quanto perché l’idea condivisa dai più, e anche dalla gente del Pd, è che il Paese sta ripartendo e invece la classe politica è lì che discute. Non peraltro è proprio questo il messaggio che il premier sta cercando di veicolare da alcuni giorni con insistenza.
Certo, la riforma Renzi-Boschi non è la migliore possibile ma alla fine è una riforma, un importante miglioramento della Costituzione che finora nessuno era riuscito a varare, indispensabile vista la farraginosità dell’attuale procedimento legislativo, vista l’inutilità delle province o del Cnel, una riforma molto ma molto migliore di quella del Titolo V fatta nel 2001 dalla sinistra che adesso protesta. Buttare tutto all’aria per una questione interna al Pd - perché così è e non ci venite a raccontare il contrario - sarebbe più un errore che un peccato, che per primi gli elettori del Pd non comprenderebbero. Il solito teatrino della politica.