
Pecore Elettriche
Firenze, 26 febbraio 2023 - Il Pd ha organizzato nel 2023 un congresso su Matteo Renzi e il renzismo senza Renzi candidato e senza Renzi nel Pd. Un congresso sui miraggi, sui fantasmi. Un congresso fantasma, dunque? "L’unica corrente rimasta intera è a supporto suo ed è quella di Guerini e Lotti, di chi allora stava con Renzi", ha detto giovedì scorso Elly Schlein su Radio1 a proposito dell’avversario Stefano Bonaccini. I fantasmi convengono, perché sono rassicuranti come le abitudini.
Il Pd vive in un’immensa retrotopia. L’utopia del passato, però da guardare con la nostalgia di chi sa che non tornerà, sempre che sia mai esistito, questo mitologico passato. Come una serie di Netflix carica di anni Ottanta da rivendere a trentenni e quarantenni. Lo Stranger Things del Nazareno. Il dibattito sulle correnti. L’identità irrisolta. Veltroni e D’Alema che vanno e vengono, anche quando hanno smesso di andare e venire. I riformatori e i progressisti. Il mercato e lo Stato. Più mercato o più Stato? Il partito liquido, il partito solido. Il partito leggero, il partito pesante. I democristiani e i comunisti. Le sezioni. La comunicazione (non ci hanno capiti). Il mitologico territorio (bisogna ripartire da). I feticci identitari. I simboli. È il solito vecchio Pd: individua un avversario e ci si avviluppa. Un tempo era Berlusconi, adesso è Renzi. Come se nel Pd esistesse un prima e un dopo Renzi, come se tutti i guai del centrosinistra fossero imputabili all’ex presidente del Consiglio. Un po’ poco. E gli ultimi cinque anni di gestione del Pd? Spariti. Non esistono. Maurizio Martina (reggente) Nicola Zingaretti, Enrico Letta. Come se non ci fossero stati. Oggi dunque , è il giorno delle primarie del Pd. La scelta è fra Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna, e la sua ex vice, Schlein, oggi deputata. La scelta del nuovo leader del principale partito d’opposizione alla destra-centro è stata lunga e articolata. Dalla sconfitta del 25 settembre 2022 sono passati cinque mesi, durante i quali il Pd ha avviato una fase cosiddetta costituente, tra riunioni dei saggi, congressi dei circoli e, appunto, le primarie di oggi.
Dal congresso non ne è nato un dibattito epocale, anzi. C’è stata, appunto, la solita discussione su renziani e antirenziani, con Bonaccini a ricoprire timidamente la parte del primo e Schlein la parte della seconda. La linea di frattura fantasmatica (renziani/antirenziani) è servita a Schlein, che ha potuto convogliare agevolmente su di sé quel pezzo di partito e di società civile che ha in uggia l’ex presidente del Consiglio, mentre Bonaccini non ha potuto o voluto rivendicare fino in fondo la stagione renziana. Il presidente dell’Emilia-Romagna ha vinto nettamente la fase dei congressi di circolo ma non è detto che vinca altrettanto nettamente le primarie, dove possono votare anche persone che non hanno mai messo piede nel Pd. Se c’è infatti un’eredità che questo congresso lascia è l’apertura al rientro dei bersanian-speranziani e a quella sinistra che si era tenuta fuori da un partito un tempo riformista e a vocazione maggioritaria.
Nel caso di vittoria di Schlein è possibile immaginare una scissione spontanea, non organizzata, di chi nel Pd ha investito gli ultimi 15 anni di vita. Quello di Schlein sarebbe un partito infatti diverso dal Pd del Lingotto. Ma magari è proprio questo che cercano i dirigenti del Pd che la sostengono, come Dario Franceschini: la fine dei Democratici per come li abbiamo conosciuti fin qui.