GABRIELE NUTI
Cronaca

Disastro al deposito Eni: "Prevedibile ed evitabile". Nove persone indagate

Nello scoppio hanno perso la vita cinque operai e autisti di autocisterne. Tra loro il 49enne Davide Baronti di Bientina. Il procuratore Tescaroli parla. di "errore grave e inescusabile, gravissime omissioni e valutazioni scriteriate".

L’esplosione al deposito di Calenzano

L’esplosione al deposito di Calenzano

BIENTINA

Nove indagati per il disastro al deposito Eni di Calenzano del 9 dicembre scorso dove persero la vita cinque persone e altre ventotto rimasero ferite in maniera molto grave. Tra le vittime anche Davide Baronti, 49 anni, di Bientina. Con lui morirono Gerardo Pepe e Franco Cirelli, entrambi 45enni, Vincenzo Martinelli di 51 anni e Carmelo Corso do 57. Operai e autisti di autocisterne avvolte dalle fiamme. Mezzo minuto tra la fuoriuscita della nube di benzina e lo scoppio. Tutto è partito dai lavori di manutenzione tra la corsia 6 e 7 dell’impianto, considerati alla base del disastro. A innescare la fuoriuscita del carburante, si legge negli avvisi di garanzia notificati ieri ai nove indagati, la rimozione di una valvola collegata con un "gomito" a una linea di benzina in pressione (circostanza sconosciuta ai lavoratori). La manovra non era indicata nel progetto di lavoro. La benzina è così uscita da una fessura apertasi in una flangia svitata dagli operatori della Sergen/Nolitalia, la società incaricata da Eni di eseguire gli interventi che avrebbero dovuto servire a rimuovere una vecchia porzione della linea, destinata ad accogliere un nuovo impianto di fornitura di biocarburante. Dalle indagini risulta che "l’aspirazione delle pompe era stata sostituita" mentre "la mandata delle pompe prevedeva l’utilizzo delle linee esistenti". Così, alla richiesta di carico di benzina arrivata dalla corsia 6, è partita l’attivazione delle pompe, provocando lo spruzzo e poi quattro esplosioni.

La prima alle 10,21 del 9 dicembre. Il bientinese Baronti, sposato con Rossana Graziano e padre di due ragazzi di 20 e 16 anni, era nei pressi delle corsie 6 e 7 alla guida dell’autocisterna della ditta Mavet. Si apprestava ad eseguire il rifornimento del camion per poi trasportare il carburante alle stazioni di servizio di mezza Toscana.

La fonte dell’innesco, si legge nella richiesta di incidente probatorio, è stata individuata – in termini di maggiore probabilità – in una parte "calda del motore a scoppio della piattaforma elevabile utilizzata dagli operatori Sergen per svolgere le attività". Anche quel carrello, secondo la procura, non doveva essere lì durante le fasi dell’intervento, considerato erroneamente "lavorazione a freddo". Il disastro, per il procuratore di Prato Luca Tescaroli, è stato "un evento prevedibile ed evitabile" sulla base di risultanze investigative. Tescaroli parla di "errore grave e inescusabile". E di gravissime omissioni, e valutazioni scriteriate, lungo tutta la catena di comando. A partire da Eni.

Sotto inchiesta ci sono la dirigente incaricata della gestione del centro di Calenzano, Patrizia Boschetti, la responsabile del servizio protezione e prevenzione del deposito, Emanuela Proietti, lo stesso responsabile del deposito, Luigi Cullurà. E ancora il responsabile del settore manutenzione e un suo collaboratore, Carlo di Perna ed Enrico Cerbino, e il tecnico addetto alla manutenzione e il preposto dell’impianto, Marco Bini ed Elio Ferrara. Con loro, tutti dipendenti Eni, sono sotto inchiesta anche l’amministratore unico della Sergen e il preposto della stessa azienda, Francesco Cirone e Luigi Murno. Le accuse sono di omicidio colposo plurimo, disastro colposo, lesioni personali e delitti colposi contro la salute pubblica.

Negli avvisi, infine, la procura censura alla radice il modello di lavoro imposto da Eni nell’impianto."Per interesse e vantaggio (della Eni, ndr), veniva permessa la contemporaneità dell’attività lavorativa di manutenzione e di carico di autobotti, agevolando così il mantenimento della produttività funzionale all’attuazione delle strategie imprenditoriali dettate dalla stessa Casa madre".