MARIO FERRARI
Cronaca

Volterra, le ipotesi del crollo: “Cambiamenti climatici e troppi sbalzi termici, roccia indebolita"

Claudia Aveta, ricercatrice in restauro al dipartimento di ingegneria di Pisa. "Le frequenti variazioni di temperatura generano fenomeni dannosi"

Volterra, 8 maggio 2024 – Sebbene gli effetti del crollo di una porzione delle mura alla Porta San Felice di Volterra siano tristemente visibili a tutti, lo stesso non si può dire delle cause che hanno portato al cedimento dell’antica cinta muraria. La visione in merito della professoressa Claudia Aveta, ricercatrice in Restauro presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Energia, dei Sistemi, del Territorio e delle Costruzioni dell’Università di Pisa, è chiara: una delle cause è andrebbe ricercata nel cambiamento climatico.

Professoressa Aveta, può spiegare meglio quali sono secondo lei le cause del cedimento?

"Premesso che non ho avuto la possibilità di verificare di persona il crollo, dobbiamo prima capire la situazione di partenza. Se si ritrova un salto di quota tra via della Petraia a valle e l’area interna alle mura, costituita da percorsi viari e manufatti edilizi, l’antica cinta muraria volterrana può svolgere una funzione di contenimento della spinta dei terreni a monte. Questo comporta che, quando i terreni assorbono acqua, si determina una maggiore spinta sulle mura che può metterne in crisi l’equilibrio statico e dunque far cedere le strutture. Ci tengo a precisare che la mia è un’ipotesi, saranno le inchieste giudiziarie a chiarire le cause del crollo a Volterra. Tra le altre cause plausibili però...".

Dica.

"Non posso non segnalare la componente del cambiamento climatico".

Come mai?

"Semplice: le piogge improvvise di tipo torrenziale possono determinare effetti disastrosi. Nello specifico le frequenti variazioni di temperatura generano fenomeni di condensazione, evaporazione e cicli gelo/disgelo dell’acqua presente nei materiali composti di pietra arenaria, come le mura di Volterra. La formazione di cristalli di ghiaccio o sali all’interno degli spazi porosi determina forti pressioni che, a lungo andare, provocano l’aumento della porosità e la disgregazione del materiale".

C’è un modo per tutelare i beni culturali dal cambiamento climatico?

"Innanzitutto, di fronte a tali eventi, gli enti responsabili dovrebbero interessarsi al sistema di irreggimentazione delle acque pluviali – ma anche dei sistemi di smaltimento delle acque fecali delle case ubicate in prossimità e allo stato delle condotte idriche – per evitare che l’eccesso di acque penetri nei terreni, a contatto con le mura e di fondazione delle stesse. Inoltre se posso fare un appello...".

Prego.

"Sarebbe utile se si avviasse un processo di monitoraggio non solo nella zona interessata dal crollo ma nell’intero percorso delle mura per individuare possibili criticità e prevedere interventi adeguati. Dunque, si potrebbe intervenire con il ripristino delle mura, previa catalogazione dei conci murari e anastilosi - ricostruzione degli edifici ottenuta tramite ricomposizione, con i pezzi originali delle antiche strutture ndr. -, ma prima eliminazione delle cause del disastro".

Ma secondo lei anche a Pisa dovremmo temere per eventuali crolli?

"A Pisa, così come nella sua provincia, se si analizzano i manufatti murari simili è possibile osservare che le condizioni contestuali possono essere diverse, ma l’approccio a simili problematiche, a mio avviso, deve essere lo stesso. Pertanto, questi eventi che avvengono ciclicamente sulle mura urbane, che costituiscono importanti testimonianze della storia stratificata delle nostre città, devono innescare maggiore sensibilizzazione verso gli effetti dei cambiamenti climatici, cercando di prevenire i disastri prima che avvengano".