ILENIA PISTOLESI
Cronaca

Il caso senza soluzione, il giallo di Kalaveri. Un anno dopo il delitto un mistero irrisolto

Il 36enne albanese fu crivellato di colpi a Sasso Pisano. I tre killer restano ancora fantasmi inafferrabili. Un agguato premeditato forse per un vecchio regolamento di conti

L'omicidio di Elson Kalaveri, aveva 36 anni

Castelnuovo Valdicecina, 6 agosto 2023 – Traducendo alla lettera, cold case significa ‘caso freddo’, e raggruppa monadi infinite di indagini che si sono arenate per mancanza di prove. O che ancora gridano verità da qualche antro buio e livido. Ci sono ancora pezzi di storia del territorio tinteggiati di nero, rimasti in una bolla di rumore assordante ma imballato.

Era l’agosto 2022, il 18 per precisione, quando la quiete iperuranica di un microcosmo, Sasso Pisano, fu ‘violentata’ dalla raffica di colpi, quindici in tutto, che distrussero la vita all’albanese 36enne Elson Kalaveri, crivellato dagli spari di una o più semi automatiche dentro alla sua fiammante e vistosa Mercedes. Fu ucciso non lontano dal centro storico del borgo delle fumarole geotermiche, un grappolo di case antiche e fiere adagiato nelle terre del Vapore. Fu un suo amico (testimone oculare, lasciato in vita durante la mattanza) a trascinare la Mercedes fino a un birrificio della zona per chiedere aiuto.

Ma perché Kalaveri fu ucciso a Sasso Pisano? Chi sono i suoi sicari, uomini fuggiti su un’utilitaria e inghiottiti in un cono d’ombra? E che ruolo ha avuto il testimone dell’omicidio, l’uomo che si trovava in auto con la vittima e che squarciò il primo Sos? Perché fu risparmiato dalla carneficina? L’obiettivo dei sicari era Kalaveri. E l’altro uomo fu lasciato in vita: ipotizziamo sotto minaccia, come nei codici usati nelle matrici delle organizzazioni criminali, vedesse. O forse il testimone, connazionale della vittima, era nel posto sbagliato al momento sbagliato. Il fatto delittuoso, è certo, non doveva passare inosservato per i committenti dell’omicidio. E senza moltiplicare gli enti inutili, è lecito porsi domande fra un presunto legame fra i tre incappucciati che aprirono il fuoco contro Kalaveri e il misterioso testimone. Non ci sono molte cornici da cristallizzare in questa quinta di sangue che è rimasta zittita. Ma quest’uomo, il testimone sopravvissuto, chi era? Forse un palo, o un complice dei killer che li ha aiutati nel complottare l’agguato? Perché è rimasto in vita? Per salvarsi la pelle, perché minacciato, o forse perché i killer arrivati dall’Albania (possiamo darlo come dato quasi certo) erano matematicamente sicuri di non essere mai scoperti dall’uomo che era con il loro bersaglio? E, a meno che l’indagine a un anno di distanza non dovesse puntellare colpi di scena, i tre killer restano fantasmi inafferrabili. Però la scena del delitto già parlava al momento dei fatti.

Perché l’auto con a bordo il cadavere fu spostata? Kalaveri potrebbe essere caduto in un agguato premeditato per un vecchio regolamento di conti in patria, dove anni prima era stato condannato per l’omicidio di un connazionale. Sgarri imperdonabili che per la criminalità organizzata, che non cadono mai in prescrizione. La premeditazione dell’omicidio a sangue freddo resta una certezza granitica. Come la sua presenza in Valdicecina nei giorni prima dell’omicidio, perché Kalaveri conosceva la zona, qui aveva vissuto la sorella. Fu tradito finendo in una trappola mortale? Sicuramente fu pedinato e fatto fuori in maniera plateale, in una strada pubblica. Affinché arrivasse, a chi di dovere, un messaggio chiaro e distinto. Modalità che richiamano alla mente gli agguati di sangue della criminalità organizzata.