Ponsacco (Pisa), 22 dicembre 2024 – Il patriarcato uccide per cui è compito e responsabilità di tutti uccidere il patriarcato. Non lascia spazio alle interpretazioni il presepe allestito nel battistero della parrocchia di San Giovanni di Ponsacco da don Armando Zappolini insieme alle donne e alle ragazze della Caritas. Da una parte la natività tradizionale, dall’altra l’impatto con il 2024. La capanna è stata sostituita da una panchina rossa, simbolo contro la violenza di genere, su cui giace un manichino di una donna uccisa, il suo sangue macchia Gesù bambino, fonte della vita. Al centro lo striscione con la scritta “il patriarcato uccide” e gli scatti fotografici di Cristina Fida, immagini di riflessione e denuncia sulla e della violenza. In sottofondo le musica classiche del Natale.
“Abbiamo un’immagine speculare – racconta don Armando – da un lato la tradizione dall’altra l’attualità. Sotto quella panchina abbiamo Gesù che nasce oggi, tra di noi. Questo Natale abbiamo deciso di affrontare questo tema, qualcosa che ci riguarda tutti”. I numeri dei femminicidi restituiscono una società in cui ogni tre giorni muore una donna e nove volte su dieci il delitto avviene in ambito familiare. “Tutti noi, uomini, donne, giovani, anziani, dobbiamo interrogarci – continua – riflettere e agire concretamente e culturalmente contro il dilagare di questa strage. Come dice Papa Francesco la violenza sulle donne è una velenosa gramigna che affligge la nostra società e che va eliminata dalle radici. E queste radici sono culturali e mentali, crescono nel terreno del pregiudizio, del possesso, dell’ingiustizia. Tutti frutti di un patriarcato che uccide!” È per questo motivo che la capanna diventa la tomba di una vita femminile spezzata, il manichino femminile da cui scorre il sangue rappresenta le tante donne annientate dai maltrattamenti, dagli abusi fisici e psicologici, dallo sfruttamento, dalla schiavitù, dalle prepotenze, dalle intimidazioni. Il corpo dilaniato della donna diventa tutt’uno con un Gesù Bambino sul quale si riversano le gocce di sangue di una fonte di vita prosciugata dal dominio di una cultura maschilista, che non ama, ma possiede, avvilisce la dignità e sopprime.
“Rappresenta i segni della violenza di chi si sente padrone della vita di altri – conclude – una violenza che deriva anche dall’incapacità di relazionarsi con gli altri, di accettare i no e i rifiuti. Per noi celebrare il Natale vuole dire fare azioni concrete, vuol dire conoscere le storie dei figli delle donne ospiti dei centri di accoglienza. Vuol dire dipingere una panchina di rosso per farla diventare adesso la nostra capanna del presepe e a gennaio un simbolo contro la violenza di genere da porre nella nostra comunità pastorale a Gello”.
S.E.