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Giuseppina Lotti con Luca Macchi e Saverio Mecca agli Euteleti
San Miniato, 27 novembre 2015 - Tanta commozione per la morte di Giuseppina Lotti, una donna nei cui occhi c’è stato fino all’ultimo istante il sorriso, la fierezza di una vita intensa vissuta tutta accanto a Dilvo, anche quando il noto pittore, sei anni fa, se ne andò. E lei rimase custode e interprete di una grande storia di cui spesso è stata la protagonista: «Geppina», come la chiamava il maestro Dilvo, che ascolta Ravel, Geppina che ammira le ballerine di flamenco o che, come loro, danza in piazza Venezia. Geppina dei tramonti su San Miniato o quella delle notti di preghiera. Geppina moglie, segretaria, amante, musa ispiratrice. E’ stata tutto questo e anche molto altro Giuseppina Gazzarrini, morta nella tarda serata di mercoledì a 96 anni. Una donna intelligente, e amatissima, ma anche una donna forte: il padre e il fratello gli erano stati uccisi tragicamente, nel 1927, nella stazione di Noceto di Parma, dove la famiglia si era trasferita, dopo che l’uomo vi era stato nominato capostazione.
Poi l’incontro e l’amore con il pittore, e quella vita in via Paolo Maioli, nella casatorre che ha visto attraversare tutto il grande ’900: lei ha servito il tè e conversato, insieme all’artista, con i tanti grandi intellettuali che nel secolo breve hanno varcato la soglia di casa, dall’amico e ministro Pietro Bucalossi, alle due visite di Spadolini, prima nelle vesti di ministro della difesa e poi in quelle di presidente del Senato. Storia dell’arte italiana e storia di San Miniato si sono magnificamente e straordinariamente incrociate nella casa di questa coppia a cui la città deve molto. Dietro a Dilvo c’era sempre lei: all’Accademia degli Euteleti, al Museo Diocesano come al Dramma Popolare di cui il pittore fu uno dei padri fondatori. E al Dramma, creatura d’importanza nazionale a cui Lotti teneva moltissimo, Giuseppina è rimasta legata fino alla fine: «Non ha mancato – come ricorda il presidente Marzio Gabbanini – neanche uno dei nostri appuntamenti, e la sua morte è una grande perdita per tutta la comunità e per la nostra Fondazione». Al Dramma, poco tempo fa, aveva fatto dono di una delle cose più preziose che custodiva nella casa museo: la maschera della prima messa in scena dipinta dal suo Dilvo nel ’47. Oggi alle 15 in San Domenico ci sarà l’ultimo saluto a questa donna che non ha avuto il dono di avere figli, ma che insieme al marito è stata nonna, amatissima, di generazioni di bambini di cui si è occupata, spontaneamente e gratuitamente, insegnando loro nelle «adunanze», l’amore per i meno fortunati e la gioia di stare insieme. «Salutate anche me con un evviva», disse il giorno della morte di Dilvo. Allora, evviva.
Carlo Baroni