CARLO BARONI
Cronaca

"Sposa bambina", la Cassazione dispone un nuovo processo d'appello

Colpo di scena: si torni in secondo grado per i reati di violenza sessuale di gruppo e riduzione in schiavitù

Udienza

Pontedera, 7 maggio 2016 - Tutto da capo, o quasi. Arrriva il colpo di scena nella storia giudiziaria della «sposa bambina». In Cassazione il risultato più importante lo portano a casa i difensori degli imputati – due penalisti di prim’ordine come Luca Cianferoni (nella foto) di Firenze e Nicola Giribaldi di Livorno – che ottengono il rinvio ad un nuovo giudizio in appello per l’imputazione di violenza sessuale di gruppo. Così come, in accoglimento del ricorso del pm, secondo la Suprema Corte, il processo è da rifare anche per l’assoluzione dai reati di tratta di persone e riduzione in schiavitù. Resta in piedi la condanna per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per la quale Cianferoni annuncia: «Chiederemo la revisione», e non esclude gli atti, se necessario, anche davanti al Corte di giustizia europea. La vicenda risale al maggio del 2010, quando una 14enne kosovara arriva a Pisa, nel campo nomadi di Coltano, per un matrimonio combinato e divenne vittima di violenza all’interno della famiglia del marito. L’indagine prese le mosse quando i genitori della ragazzina dal Kossovo si misero in contatto telefonicamente con la Questura di Pisa e chiesero aiuto per il rintraccio della figlia che sostenevano essere segregata in un un campo nomadi della zona.  Portata fuori dal campo dalle forze dell’ordine, la ragazzina raccontò che i suoi aguzzini si erano interessati a lei perché giovane, bella e senza esperienze sessuali e avevano deciso che doveva essere destinata in sposa al primogenito. Per ottenere lo scopo non avevano esitato a elargire denaro, doni e promesse di una vita agiata in Italia.

L’attività investigativa complessa e capillare fu coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze. Sul banco degli imputati (in parte del campo di Coltano, in parte - i nonni - di Gello a Lavaiano) erano finiti sei familiari dello sposo: Erizon Mahmuti, 44 anni, zio dell’allora sposo; la moglie Vjolka Dibrani, 43anni; Ibadet Dibrani, 39 anni, madre dello sposo; la nonna Nebhat Hamiti, 59anni, il padre dello sposo, Riza Haliti, 39 anni, Avdus Hamiti, il nonno dello sposo. Pesantissime, in un primo momento, le accuse: i sei dovevano rispondere, a vario titolo, di tentata violenza e violenza sessuale di gruppo, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, tratta di persone e riduzione in schiavitù. Le accuse più gravi non erano entrate nella sentenza di primo grado. Che, invece, in appello furono contestate almeno per la violenza sessuale a quattro condannati. Nel frattempo, però, Avdus Hamiti, il nonno dello sposo, uno dei sei condannati in primo grado, è morto.

Si tornerà dunque in aula, ancora in appello, a Firenze, per duellare sulle accuse più gravi di questa storia conosciuta, appunto, come quella della «sposa bambina» portata in Italia, per la Procura, con inganni e regali. Gli imputati si sono sempre difesi sostenendo che la ragazza era arrivata a Pisa in accordo con i genitori sui fiori d’arancio secondo i canoni della tradizione rom.