CARLO BARONI
Cronaca

Tartufo, la Finanziaria spinge la tracciabilità e frena il "nero"

Novità importanti per il mondo della raccolta: riconoscimento della categoria hobbisti con no tax area fino a 7mila euro

Mostra mercato del tartufo

San Miniato (Pisa), 2 gennaio 2019 - Tartufai professionisti e tartufai hobbisti, diciamo «professionali» e riconosciuti per legge con relativi benefici. Ma tutti perfettamente in regola sotto il profilo fiscale, con un beneficio diretto a quello che è il grande dilemma che ruota da sempre attorno a questo prelibato «frutto» dei boschi, ovvero la tracciabilità. Ricordiamo che la Toscana è una delle culle più pregiate, con i suoi seimila trifolai e un raccolto che supera ampiamente i 100 quintali l’anno tra tartufo bianco, nero e marzuolo. Nelle legge di bilancio sono state introdotte novità per il settore della raccolta di prodotti non legnosi del bosco o selvatici: tartufi, funghi, erbe officinali, piccoli frutti, bacche.

Le misure riguardano soprattutto l’aumento della franchigia Iva (dal 10% al 5%, così il tartufo è equiparato a livello fiscale a pere e mele, e in genere ai beni di prima necessità) e Irpef da 5.000 a 7.000 euro a fronte del pagamento di un sostituto d’imposta pari a 100 euro l’anno per i raccoglitori occasionali che commercializzano i prodotti.

Quest’ultimo è un passaggio molto atteso dai trifolai, che negli ultimi anni sono stati «frenati» dalle problematiche della contabilità e della pressione fiscale in presenza di un impegno di livello occasione e hobbistico. Novità, quindi, quelle introdotte dalla normativa – l’emendamento in Senato è stato presentato dalla Lega - che nei propositi del legislatore contribuirà a mettere in evidenza il diffuso mercato informale presente in Italia e faciliterà le produzioni nazionali, che potranno avere i documenti necessari, ovvero la tracciabilità, per dimostrare l’origine dei prodotti. Per il settore del tartufo diminuisce l’Iva per la cessione del prodotto fresco e si passa dal 22% al 10% per tutti i prodotti a base di tartufo (creme, salse e prodotti al tartufo che costituiscono un indotto da decine di milioni), per allineare le aliquote nazionali con quelle dei principali competitori: Francia e Spagna.  La modifica dell’impianto fiscale della raccolta di prodotti selvatici consentirà di recuperare quote di mercato europeo all’Italia, che in un decennio è passata da 92% al 40%. Queste misure serviranno, questo l’auspicio, anche a portare linfa nelle casse dell’erario: si stimano almeno 35-40 milioni l’anno.

Perché oggi, nonostante l’obbligo di tracciabilità, nella filiera del tartufo ci sono sacche di «nero». Tracciabilità, lo ricordiamo, che è forse il solo mezzo per fermare le invasioni dall’estero. Dopo il primo allarme, una quindicina d’anni fa, per gli arrivi del tartufo d’Africa (le tarfezie) con il sequestro di 300 chili destinati ad essere impreziositi con vari aromi, c’è stato il periodo dei ripetuti tentativi di importare tuberi dalla Romania. Ora il nuovo fronte è l’Albania, dove il tartufo è diventato «l’oro» del Paese più povero d’Europa. La forsennata ricerca dell’alimento pregiato sta portando diversi problemi interni (dalla guerra tra i raccoglitori alla distruzione di riserve naturali protette), ma starebbe creando anche un aumento di flussi commerciali verso Paesi con la cultura del tartufo. Come l’Italia.