CARLO BARONI
Economia

Carismi, grandi passi per la vendita. Trattativa "in piedi" con banca Bper

Bocche cucite a palazzo Grifoni: possibile affare entro fine anno

Palazzo Formichini, sede centrale della Carismi

San Miniato (Pisa), 12 marzo 2016 - Si sa da tempo che anche la Cassa di Risparmio di San Miniato è destinata ad avere un’altra proprietà. Si sa da quando, circa un anno fa, il protocollo di intesa Acri/Mef ha stabilito (nel solco dei principi contenuti nella legge Amato-Ciampi del 1992) che le Fondazioni dovessero uscire dal capitale delle banche e diversificare i propri investimenti per contenere la concentrazione del rischio e per ottimizzare la combinazione tra redditività e rischio. La maggiore redditività del loro patrimonio consentirebbe alle Fondazioni di origine bancaria di dedicarsi ad aiutare il nostro Paese nel mantenere quel livello di welfare che abbiamo acquisito e che a causa della crisi stiamo perdendo.  Così anche la Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato, che di sacrifici “milionari” ne ha fatti per tenere in questi anni testa e cuore della Carismi sul territorio, ha iniziato il cammino per cedere in tutto, o in parte, il pacchetto azionario in quella che per i sanminiatesi è la loro "cassa".

Ma a che punto siamo? Qui si entra nel campo delle indiscrezioni. A Palazzo Grifoni - sede della Fondazione Crsm guidata dal notaio Mario Marinella - c’è massimo riserbo. Ma il cammino, appunto, ha già mosso dei passi: un advisor da mesi si sta muovendo ad ampio raggio con mandato pieno a trattare eventuali offerte e, nelle ultime settimane, ci sarebbe un discorso abbastanza avviato con il gruppo Bper, che è presente in 18 regioni con circa 1.300 filiali, 12mila dipendenti e 2 milioni di clienti. Un colosso che, nel tempo, ha acquisito o incorporato vari istituti, una ventina, dalla Banca Popolare di Ravenna, al Credito Commerciale Tirreno, alle Popolari di Salerno e  dell’Irpinia. Bocche cucite, appunto. Anche perché la vendita  - indiscrezioni parlano di possibile formalizzazione entro la fine dell’anno - è affare delicatissimo.

La Fondazione deve vendere e vuol farlo bene, nonostante i tempi difficilissimi anche per  il mercato della banche: impensabile recuperare il valore che poteva avere dieci anni fa. Ma farlo bene vuol dire anche trattare le tutele per i 700 dipendenti e per quei 50 milioni di stipendi che Carismi garantisce sul territorio dov’è nata contribuendone alla crescita ed ai successi. Vendere bene significa anche fare quanto possibile affinché la testa resti a San Miniato, fondamentale per il territorio e per la vita della città.

Il notaio Marinella avrebbe precisato che questi sono gli intendimenti all’assemblea dei soci della Fondazione. Una fondazione quella di San Miniato, ribadiamo, che ha fatto sforzi enormi per la banca le cui radici affondano nel lontano 1830, con due aumenti di capitale ravvicinatissimi, con l’acquisto di palazzo Grifoni e dell’auditorium di piazza Bonaparte. Consapevole dell’importanza strategica della banca che comunque ha sentito il peso della crisi, la stretta imposta da Banca d’Italia sugli accantonamenti e l’obbligo di dover concorrere al salvataggio di Banca Etruria. Tutto questo pesa. A partire dal bilancio che sarà presentato tra pochi giorni.