REDAZIONE PRATO

Abiti cinesi, sostanze pericolose ed etichette non veritiere

I risultati del 2013 furono preoccupanti; quelli del 2015 sono complessivamente ancora peggiori. Le analisi sono satte svolte dal laboratorio del Buzzi

Andrea Cavicchi con il preside del Buzzi Erminio Serniotti

Prato, 20 maggio 2015 - Risultati diversi a seconda che si prendano a riferimento i parametri dell’Unione Europea o quelli della Cina, ma la conclusione non cambia: i 67 capi di abbigliamento esaminati dal Laboratorio dell’Istituto Buzzi, quasi tutti “made in China”, mostrano con preoccupante frequenza valori non in linea con la sicurezza chimica. L’analisi è stata effettuata a due anni da una precedente iniziativa in cui lo stesso Laboratorio “Buzzi” ed il Laboratorio di Analisi Prove e Ricerche Tessili “Brachi“ avevano esaminato 44 capi di abbigliamento esterno per adulti e bambini con etichetta di origine “made in China”. I risultati del 2013 furono preoccupanti; quelli del 2015 sono complessivamente ancora peggiori dal punto di vista sia della sicurezza chimica sia della veridicità delle etichette di composizione. In diminuzione ma ancora molto rilevante (63% di non conformità) il fenomeno dell’”importazione dell’inquinamento” dovuto all’uso di sostanze pericolose per l’ambiente rilasciate nell’acqua di lavaggio degli abiti. 

67 capi esaminati portano 64 l’etichetta “made in China” e 2 quella “made in Bangladesh”, mentre uno non ha alcuna indicazione di origine. Si tratta di 17 capi per bambino e 50 per adulto, in maglia e tessuto ortogonale, per abbigliamento esterno, abbigliamento a contatto con la pelle ed intimo. Come nella precedente indagine, i capi sono stati acquistati in negozi della grande distribuzione in provincia di Prato. I test hanno riguardato: formaldeide libera ed estraibile; pH dell’estratto acquoso; solidità del colore ad acqua, sudore, sfregamento e saliva; coloranti azoici che possono rilasciare ammine aromatiche; alchilfenoli etossilati. Inoltre è stata esaminata la rispondenza delle etichette di composizione fibrosa alle materie effettivamente impiegate. I parametri per la valutazione della sicurezza chimica dei prodotti della filiera moda sono diversi a seconda dei paesi.

Particolarmente significative sono le differenze tra le norme dell’Unione Europea e quelle della Repubblica Popolare Cinese. Al contrario di quanto si ritiene comunemente, i parametri ecotossicologici cinesi sono per quasi tutti gli aspetti (ma ci sono eccezioni, come per gli alchilfenoli etossilati: v. sotto) più restrittivi di quelli europei.”Cina ed Unione Europea seguono criteri completamente diversi – spiega il presidente dell’Unione Industriale Pratese Andrea Cavicchi. – La Cina ha regole molto rigorose per i prodotti commercializzati nel loro mercato interno, ma non per l’export. L’Europa invece fa riferimento direttamente alla produzione: il Reach, con il suo rilevante carico di cautele ed adempimenti, vale indipendentemente dai percorsi della successiva commercializzazione. Semplificando, la Cina legittima l’esportazione anche di propri prodotti con una connotazione ecotossicologica pericolosa; ma nello stesso tempo, con regolamenti anche ingiustificatamente restrittivi, limita le importazioni dall’estero. In questo modo siamo penalizzati due volte: riceviamo merce di dubbia sicurezza e nello stesso tempo i nostri prodotti hanno vita difficile nel passare le dogane cinesi.”