
Un’immagine del violento pestaggio avvenuto all’interno del circolo Number One di via Scarlatti nel luglio scorso
Cinquanta anni di carcere, dieci a testa per i cinque imputati. E’ la richiesta di condanna che il pubblico ministero Laura Canovai ha avanzato ieri durante la requisitoria al termine del processo, in rito abbreviato, per il ferimento dell’imprenditore cinese, Chang Meng Zhang, avvenuto all’interno del circolo "Number One" di via Scarlatti il 6 luglio scorso. Cinque gli imputati, difesi dagli avvocati Manuele Ciappi e Alessandro Fantappiè, che furono bloccati, a Reggio Calabria e a Catania, dalla polizia a 48 ore di distanza dal ferimento mentre stavano cercando di scappare. Per loro l’accusa è di tentato omicidio in quanto la vittima fu accoltellata gravemente all’addome rischiando la vita. I cinque imputati erano tutti presenti in aula. Il pubblico ministero, nella requisitoria, ha collegato il violento episodio alla faida delle grucce, la guerra in corso a Prato fra due gruppi di imprenditori contrapposti che si starebbero contendendo il fruttuoso mercato delle grucce e della logistica. La vittima, che si è costituita parte civile assistita dagli avvocati Federico Febbo e Costanza Malerba, è in effetti un imprenditore nel settore degli appendiabiti.
Si tratta di uno dei primi episodi sanguinosi a cui poi ne sono seguiti molti altri fra intimidazioni, minacce, tentati omicidi e incendi dolosi (non solo a Prato ma anche all’esterno in magazzini collegati ad alcuni esponenti di spicco della comunità). Episodi che sarebbero intrecciati fra di loro da un filo rosso e su cui la procura diretta da Luca Tescaroli sta cercando di fare luce: solo negli ultimi dieci giorni sono stati tre a Prato i gravi fatti di sangue a cui si aggiunge il duplice omicidio di Roma.
Secondo la ricostruzione della procura, Chang Meng Zhang è sopravvissuto per miracolo al violento pestaggio avvenuto prima a colpi di bottiglia e poi a coltellate. Per l’accusa il commando era stato inviato nel circolo con l’intento di uccidere Zhang che venne eviscerato. I cinque non hanno mai chiarito chi sia stato (se c’è) il mandante del pestaggio. Anzi. Nell’ipotesi delle difese si sarebbe trattato di un "gesto estemporaneo" e non di un’azione premeditata. L’aggressione – come risulta dalle immagini della telecamera interna al locale – ha avuto la durata di 31 secondi e in un altro fotogramma si vedrebbe uno degli imputati che inveisce contro la persona offesa. "L’intento è stato quello di dare un segnale", dicono gli avvocati. Con questo le difese hanno chiesto la riqualificazione del reato da tentato omicidio a lesioni gravi basandosi anche sulla relazione del loro perito, il dottor Begliomini.
Se fosse un episodio collegato alla guerra delle grucce, dicono sempre i difensori, "la logica commerciale suggerisce non di uccidere ma di dare un segnale all’avversario".
Uno degli imputati ha poi rilasciato alcune dichiarazioni in cui ammette la propria responsabilità e sostiene che gli altri componenti del gruppo non sapevano che lui avesse con sé un coltello. "L’intenzione non era di uccidere ma di reagire a un personaggio pericoloso che in passato gli aveva dato una lezione", ha detto l’avvocato Fantappiè. Le difese hanno sottolineato come la vittima abbia una condanna alle spalle per omicidio (avvenuto in provincia di Napoli nel 2006) e che quella sera non si fece portare subito in ospedale in quanto aveva l’obbligo del rientro al domicilio nelle ore serali perché era in regime di affidamento in prova. L’udienza è stata rinviata di una settimana per le repliche e la sentenza.
Laura Natoli